Università degli Studi della Calabria

 

Facoltà di Lettere e Filosofia

 

Corso di Laurea in Dams

                                    _____________________________________                            

 

 

Tesi di Laurea

 

La Madonna del Pilerio e l’archetipo della Grande Madre

 

 

 

 

RELATORE                                                    CANDIDATO

 

 

Ch.mo Prof. Giovanni Sole                                        Brunetti Riccardo

Matr. n° 52495

 

 

 

 

 

 

 

A.A. 2001-2002

 

                                                          ....................................................

 

                                                                       INDICE

 

 

            Capitolo Primo

 

            I.1.  Il culto della Madonna del Pilerio                                              pag. 1       

 

            I.2.  Le incoronazioni della Madonna del Pilerio                               pag. 8

 

            I.3.  La sacra Icona della Madonna del Pilerio                                 pag.12

 

            I.4.  Descrizione del dipinto                                                              pag.14

 

            I.5.  Denominazione di Madonna del Pilerio                                    pag.19

 

 

           Capitolo Secondo

 

           II. 1.  Il culto delle immagini sacre                                                    pag.25

 

           II. 2.  La venerazione di Maria attraverso le immagini                      pag.34

 

           II. 3.  Il culto di Maria in Oriente                                                      pag.36

 

           II. 4.  Il ritratto fisico della Madre di Dio                                          pag.43

 

           II. 5.  Modelli iconografici della Madre di Dio                                  pag.47

 

 

          Capitolo terzo

 

          III. 1. Importanza e affermazione del culto della Vergine Maria        pag.58

 

            III. 2. Maria negli scritti dei padri della Chiesa                                 pag.61

 

            III. 3.  Eva e Maria                                                                            pag. 64

 

          III. 4.  Maria Vergine  e  Madre                                                        pag.73

 

          III. 5.  La Vergine  e  la  Chiesa                                                        pag.80

 

 

 

          

           Capitolo quarto

 

            IV. 1.   L’archetipo                                                                        pag.90

 

             IV. 2.   L’archetipo della grande Madre                                          pag.94

 

           IV. 3.   La Dea Unica, Grande  Dea e  Grande Madre                   pag.105 

 

           IV. 4.   La Vergine Maria come Grande Madre                              pag.112

 

            

          Conclusioni                                                                                     pag.115     

 

          Bibliografia                                                                                    pag.121       

 

                  

                                             

CAPITOLO  PRIMO

 

LA MADONNA DEL PILERIO

 

 

I. 1. Il culto della Madonna del Pilerio

 

Nel 1576 ha inizio la lunga vicenda che vede la Madonna del Pilerio come protettrice e guida dei cosentini che a lei si sono più volte affidati, nel corso della loro storia.

Dopo la battaglia di Lepanto, avvenuta nel 1571, la Chiesa cattolica, pur risentendo del "flagello" che s'abbatté con furia su di essa a causa della protesta del monaco agostiniano Martin Lutero, celebrò l'Anno Santo del 1575, a cui parteciparono più di 500 mila persone. Proprio in quel tempo, una forte epidemia pestilenziale distrusse Trento, la Valle dell'Adige, e le città di Verona e di Venezia. Da qui tale flagello non tardò a diffondersi in tutta Italia fino ad arrivare nella lontana Sicilia e nelle Calabrie, attaccando la città di Cosenza nel 1576.

Benché nessuna delle fonti locali riporti tale tragico avvenimento, Domenico Martire scrisse che nel 1576 la terribile peste comparve in Sicilia e in alcuni luoghi della Calabria1.  Alfonso Corradi negli "Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie fino al 1850", ci informa che la peste si diffuse, nel 1576, in tutta l'Italia e si spense nel 1577, dopo "aver estinto" 40 mila persone2, così scriveva infatti riguardo agli effetti del morbo nel sud: «Ogni dì nettate le strade e bagnate d'acqua nel Mezzogiorno: sfogate le carceri dei galeotti e inviati al remo anche i condannati a morte; fatti liberi invece i prigionieri per debiti. Il procaccio di Calabria doveva fermarsi a Torre del Greco: custodita per terra e per mare la costiera, affinché né barca, né vascello di levante entrasse»3.

Nel 1577 l'Arcivescovo di Cosenza, mons. Andrea Acquaviva, dopo aver contratto a Cosenza il terribile morbo, morì a Roma. E' proprio a quest'epoca che si fa risalire la nascita del culto della Madonna del Pilerio, riconoscendo alla sacra icona proprietà miracolose.

Si racconta, infatti, che mentre il morbo pestilenziale infuriava in Calabria e sulla città di Cosenza, un devoto, rimasto anonimo, mentre pregava davanti all'icona della Beata Vergine Maria nella Cattedrale di Cosenza perché Essa scongiurasse ogni pericolo, vide apparire sul volto della Vergine un bubbone, simile agli orrendi segni lasciati dalla peste. Infervorato da un tale prodigio, corse ad avvertire il Vicario Generale dell'Archidiocesi che a quel tempo sostituiva l'Arcivescovo Acquaviva che si trovava a Roma. Questi, assieme ad alcuni esponenti del clero e ad un numeroso seguito popolare, accorse per verificare l'accaduto. Nello stesso giorno, miracolosamente, il morbo cominciò a regredire nella città, nessuno degli ammalati morì e la malattia lentamente sparì, come se la Beata Vergine avesse voluto attrarre su di Se il rovinoso flagello, esonerandone i devoti. Dai paesi vicini fu un continuo e ininterrotto crescendo di pellegrini che da ogni parte correvano per porgere il proprio saluto all'icona della Madonna che amorevolmente prese, sul suo volto bizantino, il segno della malattia pestilenziale.

Negli anni seguenti il numero di pellegrini crebbe a tal punto che, nel 1603, l'Arcivescovo mons. Giovan Battista Costanzo fece collocare la sacra icona della Madonna su di un pilastro del Duomo, quindi venne posta sull'altare maggiore fino a quando non venne predisposta la costruzione di un altare in suo onore. Tutto ciò avvenne poco più tardi, nel 1607, nella cappella denominata appunto "De li Pilieri"4.

La Madonna del Pilerio intervenne a favore della città di Cosenza in occasione del terremoto.

Da sempre la Calabria è stata soggetta a fenomeni sismici di forte intensità. Per non andare troppo a ritroso nel tempo potremmo partire dal sec. XI, e precisamente dal forte terremoto che coinvolse gran parte della regione il 24 maggio 1184. Il Duomo di Cosenza fu totalmente distrutto e, sotto le sue macerie, perirono l'Arcivescovo Ruffo insieme al Clero e ad un alto numero di fedeli. Altri terremoti ancora seguirono, prima e dopo l'altro rovinoso flagello, quello della peste del 1576 di cui già si è parlato.

Nel 1638 ebbero inizio una serie di orrendi terremoti che coinvolsero vari centri del cosentino ma, la città di Cosenza se pur colpita, lamentò pochissime vittime. Lo stesso avvenne nel nei terremoti che si abbatterono sulla nostra regione tra il febbraio e il marzo 1783. Cosenza rimase quasi incolume mentre altri paesi e città della Calabria subirono ingenti rovine. Si racconta che la Vergine Protettrice di Cosenza volse ancora una volta il suo prodigioso sguardo sui suoi fedeli, e infatti mentre  imploravano la sua misericordia e protezione davanti alla miracolosa icona della Madonna del Pilerio, sul dipinto si aprirono delle fessure che ricoprirono il volto e il petto della Vergine.

Furono chiamati ad esaminare il quadro quattro periti pittori, Maradei, Oranges, Maio e Troiano, i quali asserirono che non ci fosse alcuna causa naturale nell'accaduto poiché la tavola di legno su cui era dipinta l'immagine, era rimasta completamente intatta5.

Altri terremoti si registrarono l'8 marzo 1832, il 12 ottobre 1835 e il più terribile e rovinoso il 12 febbraio 1854. In queste date i paesi del cosentino andarono distrutti e numerosi furono i morti. La città di Cosenza, pur subendo ingenti danni materiali, miracolosamente non registrò nessuna vittima. I cosentini, sicuri del fatto che, lo sguardo materno della Protettrice di Cosenza avesse ancora una volta vegliato sulla città, chiesero all'Autorità ecclesiastica, di dedicare alla Vergine Maria del Pilerio una seconda festa, (che affiancasse quella preesistente dell'8 settembre), da celebrarsi il 12 febbraio. La terra di Calabria tremò ancora il 4 ottobre 1870. Furono danneggiati molti paesi della provincia cosentina come Cellara, Mangone, Piane Crati, Pietrafitta, Aprigliano; ma Cosenza ancora una volta, miracolosamente, non registrò che lievi danni. In tempi più recenti altri terremoti sconvolsero, tra vittime umane e rovinose distruzioni, tutta la nostra regione. Tutto ciò avvenne nel 1905 e nel 1908, la città di Cosenza fu esonerata da tale supplizio.

La Santa Sede, vagliate le motivazioni, accettò la richiesta6 e confermò alla Madonna del Pilerio il titolo di patrona della città.

Con Delibera del 20 maggio 1917, venne inoltre sottoposta all'approvazione della S. Sede, il Divino Ufficio e la Messa propria del Patrocinio della Madonna del Pilerio, idea del defunto Arcivescovo mons. Camillo Sorgente, sostenuta e incoraggiata dal successore mons. Tommaso Trussoni. L'approvazione dopo un lungo e tortuoso iter, venne concessa dalla S. Sede il 7 maggio 19187. L'avvenimento si festeggiò con Triduo di ringraziamento tenuto dall'Arcivescovo, dal 30 giugno al 2 luglio 1918. Mons. Trussoni sottolineando la grandezza prodigiosa della concessione fatta alla Madonna del Pilerio dalla Santa Sede, fece sfilare la processione, dalla Cappella per le ampie navate del Duomo, quindi la sacra Icona venne poi posta per qualche istante su una colonna della navata centrale, rievocando in tal modo mons. Costanzo che, tre secoli prima, nel 1603, pose la Vergine nel medesimo posto perché tutti i fedeli potessero ammirarla e adorarla.

Il popolo cosentino non attribuisce tutto ciò alla fortuna o al caso. Ogni avvenimento sembra portare il segno divino, che racchiude in se la grazia e la misericordia intangibile della Madre e Patrona della città che, ha apportato nella coscienza dei suoi devoti, la prova tangibile della sua materna protezione.

 

 

I. 2. Le incoronazioni della Madonna del Pilerio.

 

Il tema iconografico dell'incoronazione, si ispira al quinto mistero glorioso, quello in cui si contempla l'esaltazione della Vergine incoronata Regina dei Santi in cielo. Questo è un tema ricorrente tra i pittori più importanti e lo ritroviamo infatti nella pittura di Giotto, di Beato Angelico, del Pinturicchio, di Raffaello, di Pietro Negroni, del Veronese e di molti altri8.

La miracolosa Icona della Madonna del Pilerio fu incoronata per ben tre volte nel corso dei secoli. La prima incoronazione avvenne, ad opera dell'Arcivescovo mons. Giovan Battista Costanzo il 17 aprile 1607. Egli pose sul capo della Madonna la corona aurea, simbolo dell'autorità di Regina.

Nel 1836, Papa Gregorio XVI autorizzò la seconda Incoronazione che avvenne a Cosenza il 19 giugno dello stesso anno. Tre giorni di festeggiamenti precedettero l'evento, quindi la Madonna del Pilerio fu incoronata dall'Arcivescovo mons. Lorenzo Pontillo, con due corone di oro e di gemme di gran valore. Con tale cerimonia si volle inoltre ribadire la tangibile protezione della Madonna dal terremoto che nel 1832 e nel 1835 aveva sconvolto e distrutto gran parte della Calabria e da cui miracolosamente la città di Cosenza si era salvata.

La terza ed ultima Incoronazione, avvenne nel 1922, quando una mano sacrilega sottrasse alla Beata Vergine l'antica corona del 1836 e altri preziosi oggetti. Il Capitolo Vaticano, con decreto del 4 maggio 1922 autorizzò l'Incoronazione. La cittadinanza sdegnata dall'atto sacrilego costituì un Comitato di raccolta fondi per poter acquistare una nuova corona da donare alla protettrice della città. La cerimonia fu celebrata dall'Arcivescovo mons. Trussoni e vi presero parte altri presuli concelebranti tra cui mons. Carmelo Puja, Arcivescovo di Santa Severina, mons. Giovanni Fiorentino, Arcivescovo di Catanzaro, mons. Salvatore Scano, Vescovo di S. Marco Argentano e Bisignano, mons. Felice Cribellati, Vescovo di Nicotera e Tropea, mons. Giovanni Mele, Vescovo di rito Greco della Diocesi di Lungro9. Come già sopra accennato, mons. Trussoni, per dare nuovo vigore al secolare culto della Madonna del Pilerio, ottenne dalla S. C. dei Riti il Decreto con cui, oltre alla conferma del titolo di Patrona della città e della Diocesi, venne autorizzata la Festa da celebrarsi in tutta la Diocesi e l'approvazione dell'Ufficio Divino e della Messa propri.

Il 12 aprile 1943, durante la seconda guerra mondiale, la città di Cosenza subì un massiccio bombardamento che provocò ingenti danni al patrimonio artistico della città, causando molte vittime civili. Nei mesi che seguirono vi furono altri attacchi aerei, la città rimase semi deserta e, nel caos generale, non mancò chi pensò di trarre in salvo la miracolosa Icona della Madonna del Pilerio. Il 6 settembre 1943, ad opera di Don Carlo Berardelli, padre superiore del Convento di Pietrafitta, di P. Pio Viafora, di Placido Telese, e di due militari, Vincenzo Parise e Salvatore Scalzo, e con l'autorizzazione dell'Arcivescovo mons. Aniello calcara, il Quadro della Madonna del Pilerio fu rimosso dalla sua cappella, e trasferito a Pietrafitta10 dove venne posto sull'altare maggiore della Chiesa nel locale del Convento. L'8 settembre ci fu lo storico annuncio dell'armistizio. La popolazione accorse per ringraziare la Madonna per l'inatteso rinnovato miracolo. Per alcuni mesi il quadro rimase a Pietrafitta ma fu nuovamente riportato a Cosenza dopo una grande festa e una processione celebrata dai pietrafittesi. A predicare il Triduo Sacro fu il Rev. P. Alfonso Liquori, la Messa solenne fu officiata dal Rev.mo Can. Eugenio Caruso, cappellano del Pilerio. L'11 dicembre 1943 la Madonna del Pilerio fece ritorno in città, e ad attenderla ci fu, un'immensa folla di devoti che guidati dall'Arcivescovo Calcara attraversarono in processione le vie di una Cosenza esanime, martoriata dalle brutture della guerra ma risuonante di campane a festa sotto una pioggia di petali colorati. Il 12 dicembre la Madonna del Pilerio fu riposta sul suo trono, nella Cappella della Cattedrale che per secoli l'aveva custodita.

 

I. 3. La sacra Icona della Madonna del Pilerio. 

 

Per troppo tempo l'Icona della Madonna del Pilerio è stata considerata priva di valore artistico, molto probabilmente poiché per la mania di abbellire le opere d'arte è stata ritoccata da vari artisti. Sia il Vitari che il Frangipane, giudicarono l'Icona di scarso pregio artistico, considerando l'opera d'arte solo ed esclusivamente dal punto di vista religioso e in base ai miracoli ad essa attribuiti. Scrive a tal proposito il Vivacqua: «L'antichissima immagine è sur legno, che se prodigi non à per dipinto, immensi ce ne ravvisano i cosentini pe' suoi miracoli»11. E aggiunge il Frangipane: «Scarso è però il pregio artistico dell'icona attuale, trattandosi di probabile rifacimento su schema di una più antica icona medievale»12. Il Borrelli, invece, pur non riconoscendo all'opera particolare pregio artistico, scriveva: «Il dipinto, probabile esecuzione del XV secolo, raffigura una delle tante immagini nel classico schema bizantino… e… dovette essere in parte rifatto verso la fine del XVIII secolo, con integrazione delle parti lacunose dipinte rozzamente su tela e applicate sulla tavola»13.

Solo di recente, nel 1976, grazie al fervido interessamento del Presule mons. Enea Selis, il quadro fu affidato alla Sovrintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici della Calabria, perché si procedesse al restauro. Dalla Relazione dei tecnici si evince che la sacra Icona, risulta essere «un Dipinto originale su tavola di pregevole fattura del secolo XII e XIII, magistralmente riportato al suo primitivo splendore bizantino»14. Durante gli interventi di restauro, la Di Dario asserì che «il quadro della Madonna del Pilerio, Patrona di Cosenza, è uno splendido originale della fine del 1200, con larghi influssi bizantini e con altre esperienze che denunciano una stimolante e complessa temperia culturale», sempre la studiosa intravede inoltre, in tale opera, «il più nobile e decantato formulario costantinopolitano sia a livello programmatico e teologale (la fascia che stringe il doppio addome del Bambino simbolo della sua doppia natura, il piccolo manto rosso, simbolo di regalità sovrammesso a quello azzurro consueto) che artistico»15.


 

              I.4. Descrizione del dipinto.

 

Di autore ignoto, il dipinto, prototipo dell'opera di S. Luca, rende, con chiaro formulario bizantino, l'immagine della dolcezza materna della Galaktotrophousa, ovvero della Madonna che allatta il Bambino. Secondo la tradizione, infatti, le prime immagini mariane sono state dipinte a Gerusalemme dall'evangelista Luca, che avrebbe dipinto almeno due ritratti: uno con il Bambino in braccio, il secondo senza. I due ritratti giunsero a Costantinopoli e furono esposti alla devozione dei fedeli sotto il nome di Odigitria e di Aghiosoritissa. Altre tradizioni accennano a tre ritratti della Madonna eseguiti da S. Luca: due col Bambino in braccio e uno senza. Questa risulta essere l'origine dei tre tipi principali dell'iconografia mariana, ovvero: L'Odigitria. L'Aghisoritissa e l'Eleousa16.

Nell'Icona della Madonna del Pilerio il Bambino viene allattato alla mammella destra, il latte sembra essere abbondante e denota il nutrimento spirituale e corporale. Esso diventa non buono nei periodi avversi, ovvero, a causa di peste o carestie, o ancora, durante i tragici avvenimenti di terremoti e diluvi.

Napolillo, così descrive la Madonna del Pilerio: «La Vergine Madre, con occhi scuri rivolti all'umanità intera, indossa una veste marrone, che ricorda la reliquia custodita nell'altare maggiore della Cattedrale. Ha la testa circondata dall'aureola, con undici medaglioni d'oro; ne manca uno, che ha preferito la tenebra alla luce divina, che è rappresentata dal colore giallo-oro. Ai lati dell'aureola, luminoso simbolo della Vergine nel coro dei beati, c'è scritto in latino: MR. DOMINI, (la madre del Signore). Tre stelle -una sulla fronte e le altre due sulle spalle- significano che la Madre di Dio ha conservato la sua verginità prima, durante e dopo il parto. Le tre dita della mano destra, contorte all'insù, indicano l'alto mistero della Trinità»17.

Padre P. Florenskij sembra aver inoltre individuato una precisa simbologia per ciò che riguarda i colori degli abiti indossati dalla Madonna: «La Santissima Vergine Maria viene doppiamente onorata, in se come Semprevergine e in rapporto a Cristo come Deipara. Quando appare come Semprevergine, come protettrice della verginità, cioè come vergine per essenza, porta un manto azzurro o celeste, invece quando appare come Deipara, cioè come Madre per essenza, il suo manto è purpureo, il colore della dignità regale e della spiritualità, oppure rosso, il colore della sofferenza e dell'amore infuocato»18.

Tale simbologia è facilmente riscontrabile nel dipinto della Madonna del Pilerio.

L'icona della Madonna, profusa d'oro negli undici dischi posti sul capo, simboleggia la gloria del paradiso. La veste marrone sta ad indicare la sua umanità, il blu del manto invece, indica il rapporto privilegiato di Dio verso questa creatura terrestre. Il bianco della veste che appena si intravede al capo, ai polsi e intorno al collo, esprime la purezza, in quanto la Vergine Maria è stata preservata intatta da ogni macchia di peccato originale in virtù della Grazia di Dio e del frutto che porterà in grembo, il Salvatore del Genere umano. Il manto rosso, invece, indica che la Santa Vergine, poiché Madre del Salvatore, è stata ricoperta dalla grazia di Dio. Le tre stelle che ornano la Madonna del Pilerio sulla fronte e sulle spalle, indicano la sua verginità prima, durante e dopo la nascita di Gesù. La Madonna è, in ultima analisi, una creatura umana, com'è riscontrabile nel marrone della veste, senza peccato, indicato dal bianco sotto la veste, profusa dalla benevolenza di Dio che su di Lei si è chinato, come vediamo dall'azzurro del manto e riempita dalla divinità nel rosso che la ricopre19.

Abbiamo già accennato che la Madonna del Pilerio sia una da indicare come una Galaktotrophousa, ritratta cioè con il particolare del seno scoperto, mentre allatta il Bambino. Interessanti risultano essere, a tal proposito, le osservazioni di Leone: «Il particolare iconografico della mammella alta, è rapportabile al singolare inserimento di Maria nel corpo mistico della Chiesa. Ella in essa occupa un posto prossimo a Cristo, che ne è il capo, e preminente rispetto alla Chiesa, che ne è il corpo. Questo concetto, ricorrendo alla memorizzazione visiva, propria del Medioevo, può essere spiegato dando alla Vergine, figurativamente nel Corpo mistico, la posizione del collo»20.

Nella devozione ortodossa si da spesso a questa immagine della Madonna il titolo di Trapeza, che ha il significato di "Tavola, Mensa", da potersi assimilare inoltre all'altare eucaristico detto appunto, secondo questa terminologia, "Santa Trapeza"21.

L'Icona della Madonna del Pilerio sembra essere stata eseguita dunque, durante l'ultimo scorcio della dominazione sveva e secondo la Di Dario, risulta come uno dei prodotti artistici più rilevanti di un vasto movimento artistico e culturale22 che subì sia gli influssi del «bizantinismo aulico delle opere messinesi del secolo XIII, sia le affinità delle ricerche plastiche perseguite dai maestri toscani pre-cimabueschi»23. L'icona si inserisce, inoltre, in una linea che unisce, dal punto di vista artistico, Monreale, Messina e la Campania.

 

 

I. 5. Denominazione di Madonna del Pilerio.

 

La denominazione di Madonna del Pilerio sembra derivare, etimologicamente, da "Pilar", che significa pilastro o colonna. Si racconta che, nel 1603, l'Arcivescovo Costanzo, per meglio favorire l'afflusso dei pellegrini che da ogni parte venivano nel Duomo di Cosenza per adorare e venerare la Vergine, pose la sacra icona su di un pilastro, perché potesse essere vista da tutti. Infatti il "piliere" era un elemento portante verticale, un pilastro più robusto della colonna, molto usato nell'architettura di stile gotico e romanico. Tale piliere può essere collegato alle Meteore della Tessaglia della Grecia Orientale, luoghi elevati costituiti da rocce arenarie incise in pilastri isolati, su cui sorsero vari monasteri24.

Secondo un'altra tesi il nome "Pilerio", potrebbe derivare dal culto e dalla devozione Mariana in Spagna dove viene venerata appunto la Madonna del Pilar25. In lingua spagnola il termine "Pilar" sta ad indicare il "pilone" ovvero il pilastro isolato. Da qui l'interpretazione di Madre di Dio che, assunta al trono supremo, rappresenterebbe il pilastro di sostegno morale e di aiuto contro gli eventi infausti della vita.

Allo stesso modo a Saragozza, capitale storica dell'Aragona, la Vergine è venerata sotto il nome di "Pylar" poiché sembra essere apparsa all'Apostolo Giacomo, presso le rive dell'Ebro, su di un pilastro e circondata dalla schiera degli angeli.

Nonostante siano state formulate, a tal proposito, le più varie interpretazioni, sembra che il titolo e la devozione della Madonna del Pilerio siano molto antichi e, come sottolineano il Serravalle e il Vivacqua, preesistenti alla peste del 157626. Tutto ciò può essere riscontrato se si procede analizzando alcuni fatti storici. Cosenza, fin dal IV secolo, faceva parte dell'Eparchia Greca della Calabria, collegata a sua volta all'Eparchia di Reggio. La stessa Rossano, fu capitale bizantina nel X e XI secolo. Naturalmente Cosenza non poté, non risentire dell'influsso bizantino di Rossano, con cui intrecciava diversi contatti. Nella liturgia bizantina il culto della Madonna aveva un posto preminente. Infatti, si soleva porre le sacre Immagini della Vergine in punti strategici della città, a protezione di essa, ovvero in prossimità del ponte levatoio o alle porte della città. Sembra quindi che vada avvalorata la tesi che, la denominazione di Pilerio data alla Vergine, sia di origine greca.

In greco il termine "Púle" significa porta e "Puleròs" invece indica il guardiano, quindi ne risulterebbe "guardiano della porta". Se questo sia il significato da attribuire a tale denominazione, va ancora una volta riproposta la teoria della liturgia bizantina in cui la devozione verso la SS. Vergine Maria assume un chiaro significato, ribadendo il forte legame esistente tra i fedeli e la Madonna che confidano a tal punto in Lei tanto da porla a custodia della città, con la convinzione che la sua materna protezione possa porli al riparo da ogni pericolo. Per ciò che concerne la datazione e il significato della denominazione di Pilerio, potrebbe essere interessante analizzare i vari santuari, chiese o più semplicemente le varie icone, presenti non solo nel mezzogiorno d'Italia o nell'intera nazione, ma anche fuori dal territorio italiano.

Nella cappella di Castiglia della Cattedrale di S. Giovanni Battista, alla Valletta di Malta, Mattia Preti raffigurò a olio su tela, "S. Giacomo e la Madonna del Pilar". A Villamarsagia, in Sardegna, l'antica Chiesa di S. Ranieri, fu dedicata dagli Aragonesi, nel 1324, alla Madonna del Pilar patrona di Saragozza. Nella già citata città bizantina di Rossano, esiste una piccola chiesetta intitolata alla Madonna del Pilerio. A Sinopoli Superiore, nel Santuario di "S. Maria delle Grazie", si trova un pregevole gruppo marmoreo che raffigura la Madonna del Pilerio. Alla base si trova un'iscrizione che attesta che la statua fu fatta fare da Giovanni Ruffo, conte di Sinopoli e di Borrello, nel 1508. Secondo il Frangipane l'opera fu eseguita nella bottega messinese dei Gagini27.

Annibale d'Afflitto, Arcivescovo di Reggio, nelle sue "Visitationes" che riguardano alcune zone bizantinezzate del Reggino e in cui si venera la Madonna del Pilerio, testimonia che a Fiumara di Muro si trova una chiesa della Madonna del Pilerio con una icona fatta sul legno, in cui è raffigurata la Vergine Maria, a S. Lorenzo invece vi è una croce dorata con il crocifisso e con la Madonna del Pilerio e, a Rodà, la chiesa di "Santa Maria dello Pileri".

A Napoli ritroviamo sia una via intitolata "del Pilerio", e sia la Chiesetta di "S. Maria del Pilar", in piazza dei Gerolomini.

A S. Marco Argentano, in provincia di Cosenza, la cappella del Pilerio faceva parte del convento dei Frati Minori. Gli Aragonesi, sottratta la Sicilia agli Angioini, con la guerra dei Vespri, introdussero inoltre, proprio a S. Marco, a Cosenza e in altre zone della Calabria, il culto della Madonna del Pilerio. Tutto ciò avvenne nel 1283.

Alla luce di tali e innumerevoli testimonianze, sia storiche che artistiche, si può dunque sottolineare l'immensa importanza assunta nei secoli dalla sacra Icona della Madonna del Pilerio. Tuttavia non va dimenticata la storia religiosa di un popolo che da sempre si è affidato allo sguardo miracoloso della Madre, che da sempre in Lei ha riposto la più grande fiducia, che grazie al Suo pronto e materno patrocinio ha saputo far fronte ai tremendi flagelli che più volte si sono abbattuti, sulla Calabria e sulla città di Cosenza, nel corso dei secoli. Dalla peste al terremoto, dalle inondazioni alle carestie, dalla guerra alle varie infermità,

 il popolo cosentino ha sempre saputo in chi confidare, nella SS. Madonna del Pilerio, Madre e Patrona della città di Cosenza.


 

Note al Capitolo


 

1 V. Napolillo, Storia e fede a Cosenza, la Madonna del Pilerio, Edizioni Santelli, Cosenza, 2002, p. 13.

2 Ivi, p. 12.

3 Ivi., p. 13.

4 Tutto ciò è documentato da un atto del Notaro Giacomo Mangerio, del 20 giugno 1602, nell'Archivio Notarile Statale a Cosenza.

5 M. Caruso, Notizie storiche sul culto alla Madonna del Pilerio, a cura di G. Tuoto, Cosenza, 1985.

6 Rescritto della S. C. dei Riti dell'11 gennaio 1855, con rito doppio di precetto di prima classe nella città di Cosenza e in Diocesi.

7 Sotto l'alto patrocinio dell'eminentissimo Granito Pignatelli di Belmonte, Cardinale ponente, si ebbe la chiara, valida ed esauriente relazione di mons. Alfonso Caringi, rettore dell'Almo Colleggio Capranica, la quale fece decidere per la sospirata approvazione dello schema proposto nella sua integrità il 7 maggio 1918.

8 Cfr. V. Napolillo, op. cit., p. 37.

9 Ivi, p. 38.

10 Ibidem.

11 S. Vitari, Il Duomo di Cosenza, in L. Bilotto, Il Duomo di Cosenza, Effesette, Cosenza, 1989, p. 101.

12 A Frangipane, Inventario degli oggetti d'arte in Italia, II -Calabria-, Roma, 1933, in L. Bilotto, op. cit., pp. 101-102.

13 L. Bilotto, op. cit, p. 102.

14 Notizie storiche sul culto della Madonna del Pilerio, Patrona di Cosenza, aggiornate e redatte da mons. Michele Caruso, pubblicate a cura di Don Giacomo Tuoto, Parroco Rettore della Cattedrale di Cosenza, Cosenza, 1985, p.8.

15 M. Pia Di Dario Guida, Itinerario d'arte dai Bizantini agli Svevi, in "itinerari per la Calabria", ed. l'Espresso, Roma, 1983, p. 157.

16 G. Gharib, Le icone mariane, Città Nuova, Roma, 1987, pp. 85-86.

17 V. Napolillo, op. cit., p. 11.

18 P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, in G. Gharib, op. cit., p. 75.

19 G. Tuoto, op. cit., p. 8.

20 G. Leone, Icone della "Teotòkos" in Calabria, in "Concilio Niceno II e l'iconografia mariana in Calabria", atti del convegno, Cz, 1987, a cura di M. Squillace, Edizioni Vivarium, Catanzaro, 1990, pp. 119 e ss.

21 G. Leone, Sulle "Iconografie bizantine della Madonna in Calabria" compilate da Biagio Cappelli in Calabria Nobilissima, Anno XL-XLI (1988-1989) edito 1994, pp. 7 ss.

22 L. Bilotto, op. cit., p. 103.

23 M. P. Di Dario Guida, Itinerari per la Calabria, ed. l'Espresso, Roma, 1983, p. 147.

24 V. Napolillo, op. cit., p. 17.

25 L. Bilotto, op. cit., p. 91.

26 G. Tuoto, op. cit., p. 9.

27 V. Napolillo, op. cit., p. 18.

 

                                                             Prima e dopo il restauro     

 

 

 

 

CAPITOLO  SECONDO

 

LE ICONE

 

 

II. 1. Il culto delle immagini sacre.

 

Sin dai tempi antichi, le immagini sacre hanno svolto un ruolo molto importante nell'immaginario collettivo, destando nei fedeli sentimenti così forti da creare un inscindibile legame tra la popolazione e l'immagine, ritenuta la rappresentazione di Dio e dei santi.

L'affermarsi di tale culto, avvenne in modo autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche. Ciò è stato motivo di preoccupazione dei teologi che, in diversi momenti della storia, cercarono di vincolare la circolazione delle immagini con una serie di provvedimenti, per poter non solo svolgere un ferreo controllo su di esse ma, per ridimensionare il potere della spiritualità ad esse legata.

Nacquero dunque, una serie di controversie, le più importanti riguardavano l'esigenza di rintracciare la spiritualità autentica legata alle icone, poiché esse sembrano avere origini sacre, infatti, secondo la tradizione, il primo a dipingere l'immagine della Madre di Dio con in braccio suo Figlio, fu l'evangelista Luca. Sembra, inoltre, che la Madonna abbia posato dal vivo insieme al Signore Gesù e, per questo motivo, quest'opera e tutte quelle che nacquero dal veneratissimo prototipo di S. Luca, furono conosciute ed adorate in tutto il mondo.

Bisanzio, nell'VIII e IX secolo, com'è noto, dovette subire una tremenda guerra contro le immagini, conosciuta sotto il nome di iconoclastia.

A due riprese, dal 726 al 787, e dall'814 all'842, per oltre un secolo, gli imperatori dichiararono guerra alle immagini, con il preciso intento di distruggere il ricco patrimonio ecclesiastico di quei luoghi1.

Ad ingaggiare la terribile disfatta fu Leone III Isaurico, proseguirono poi l'iconoclastia i successori Costantino V e Leone IV. Dopo la morte di quest'ultimo, nel VII Concilio ecumenico di Nicea, avvenuto nel 787, Irene, vedova di Leone IV e reggente per il figlio Costantino, proclamò legittimo il culto e la venerazione delle immagini sacre2.

Un'altra triste parentesi, però, si affacciò nella storia della chiesa bizantina. Leone V l'Armeno, nell'814, riprese la lotta iconoclasta, che i successori, Michele II e Teofilo proseguirono. Ancora una volta, la vedova di quest'ultimo, reggente in nome del figlio di appena tre anni, proclamò l'"Ortodossia"3, e pose fine una volta per tutte alla sanguinosa lotta.

In questi anni molte icone vennero distrutte, e non solo, la lotta iconoclasta si abbatté con forza su reliquie, affreschi e soprattutto su coloro che, disperatamente, cercarono di risparmiare un tale scempio. Molte icone furono dapprima nascoste, poi trasferite in Occidente e, i monaci, che avevano fatto dei monasteri roccaforti per difendere l'alto patrimonio artistico e religioso bizantino, subirono ogni sorta di martirio.

La Chiesa, dunque, difese con tutte le sue forze il culto e la venerazione delle immagini sacre. Ciò va analizzato non solo da un punto di vista devozionale, ma anche dogmatico, poiché gli imperatori, conducendo una spietata lotta contro le immagini e il culto ad esse collegato, cercavano di affermare teorie monofisite e nestoriane, precedentemente condannate dai Concili ecumenici di Efeso e Calcedonia4.

Nel 1054, il legato pontificio a Costantinopoli proclamò lo scisma delle Chiese, ovvero la divisione tra Chiesa d'oriente e Chiesa d'Occidente, i greci furono rimproverati di aver posto sulla croce l'immagine di un uomo mortale, rappresentando appunto Dio morto5. Allo stesso modo, quando nel 1438, anno del Concilio ecumenico, i greci vennero in Italia, dichiararono di non riuscire a pregare innanzi alle immagini occidentali, poiché esse avevano forme molto diverse dalle loro6.

Da ciò risulta chiaro che una comunità di fede, identifica se stessa o viene etichettata da altre comunità, anche attraverso il culto delle immagini sacre.

Altre controversie ancora si ebbero, poco dopo, durante il periodo delle Riforma. I calvinisti, com'è noto, abolirono l'uso delle immagini e i luterani le epurarono. Ciò che importava fondamentalmente, nell'uso ecclesiastico delle immagini, era comprendere e definire quale fosse la tradizione ad esse legata e, recuperare la parte incontaminata di quest'ultima, su cui si basa l'identità di una religione.

La religione cattolica, d'altra parte, mirò sempre a profanare le immagini dei protestanti, per poter distruggere il potere delle istituzioni che esse rappresentavano. Infatti all'epoca della Controriforma nuove immagini vennero poste a sostituire le preesistenti, ciò fu fatto per affermare il dominio della religione cattolica sulle altre. In tale clima polemico sull'uso delle immagini, proprio al tempo della Controriforma, prese piede il culto della figura di Maria7, un culto molto antico che fu portato in auge per dimostrare l'importanza della tradizione in ambito religioso. Ma, non è corretto, considerare le immagini solo da un punto di vista religioso, perché da sempre hanno coinvolto l'intera società che in esse si è identificata.

Il culto delle immagini con il tempo si è affermato, ha costituito una propria tradizione ed è entrato a far parte di una dottrina religiosa istituzionalmente riconosciuta. Tutto ciò è avvenuto perché le immagini hanno origine antichissima e, da sempre, hanno rappresentato per i fedeli che le veneravano, un conforto e un appoggio nei periodi più difficili, grazie alla capacità di emettere responsi e operare miracoli8.Le icone, inoltre, rappresentano un culto soprattutto di carattere locale, come avviene tutt'oggi nella venerazione, in città, paesi e contrade, di un santo particolare. Da tutto ciò si evince inoltre, che non sempre tale culto rientra nel profilo della chiesa Universale.

D’importanza fondamentale risultava, in oltre, la percezione delle immagini come autentiche. Interessante, a questo proposito, il culto di Maria Nicopeia, un'icona greco-bizantina presa dai veneziani nel 1203 a Bisanzio, e portata in patria come bottino di guerra. Tale icona fu considerata un originale d’epoca apostolica, dipinta da S. Luca in cui la Madonna avrebbe posato dal vivo. L'originale, in tal modo, come scrive Belting, comproverebbe la tradizione: «Nel caso dell'immagine di Cristo, le leggende sulla sua genesi riconoscevano o l'origine soprannaturale di un'immagine caduta dal cielo o la riproduzione meccanica del volto del modello dal vivo. (…) Accanto a quella d'origine, esiste anche una leggenda della visione, in questo caso, l'osservatore riconosce in un'immagine i personaggi apparsigli in sogno. (…) Leggende di culto di una terza specie, quelle dei miracoli, insistono sulla presenza sovratemporale del santo che, con la sua effigie, opera miracoli anche dopo la morte e dunque continua a vivere. Mediante le immagini, anch'esse contribuiscono a fornire quella doppia dimostrazione di antichità e durata vitale, storia e a-temporalità, che è tanto rilevante per ogni religione»9.

Risulta difficile, dunque, avere una chiara consapevolezza dell'importanza delle immagini nella cultura europea. L'immagine antica, nella cultura cristiana, era rappresentata dalla scrittura, infatti, la stessa religione Cristiana è una religione della scrittura. Rispetto all'immagine, bisognava ricollegare, in passato, al concetto dell'indivisibile unità di Dio invisibile, quello dell'uomo visibile.

I cristiani agirono tra le immagini degli dèi politeisti della cultura pagana e il divieto operato dagli ebrei poiché, nella cultura giudaica, Jahweh era reso presente in modo visibile, solo attraverso la parola scritta. L'icona sacra del monoteismo giudaico era la scrittura e il Dio universale era invisibile. Nonostante vi furono diverse dispute con i cristiani di origine ebraica, il cristianesimo orientale delle origini, tramite l'acquisizione delle immagini, riuscì ad imporsi nella cultura greco-romana.

Ulteriore ostacolo all'estendersi del culto delle immagini, risultò essere il potere imperiale che, al di la delle molteplici religioni, rappresentava l'unità del regno. L'imperatore era, a quell'epoca, l'immagine del Dio vivente e, l'unico culto pubblico delle immagini permesso fu, per lungo tempo nell'impero romano-cristiano, l'effige dell'imperatore.

Alla fine del VII secolo l'imperatore perse la sua supremazia su "Cristo", diventando, come spiega Belting, "suo servo"10. Poco prima dell'inizio del medioevo, l'unità del popolo romano fu cercata non più nella figura dell'imperatore ma nell'autorità religiosa. L'imperatore stesso esercitò la sua sovranità nel nome di Dio, di un Dio unico soggetto ad immagini che soppiantò definitivamente l'immagine universale dell'imperatore unico.

Nel 1453 i turchi Ottomani assediarono Bisanzio. Lo stato bizantino fu distrutto ma non la sua chiesa, ricca di un vasto patrimonio teologico, spirituale, artistico e iconografico. La chiesa bizantina sopravvisse e con lei il culto amorevole verso la Madre di Dio. Maria uscì vincitrice da ogni controversia, anche dalla sanguinosa lotta iconoclasta. L'icona detta Brephocratousa, che ha il significato di Madre con Bambino, diviene l'immagine più rappresentata. Grande importanza continuarono ad avere le icone ritenute originali di S. Luca, come l'Odigitria e altre icone taumaturgiche.

Da qui nacquero alcuni dei tipi essenziali dell'iconografia mariana.

 

 

II. 2. La  venerazione di Maria attraverso le immagini.

 

Le icone sembrano acquistare, in epoca recente in Occidente, grande importanza, non solo dal punto di vista estetico, artistico o teologico, ma anche rispetto alla visione delle stesse come oggetto di culto. In Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia, vanno aumentando le collezioni pubbliche e private e, nei musei Vaticani, sono stati predisposti dei reparti specifici per le icone11.

La venerazione delle icone di Maria sembra essere nata in Oriente, e man mano sviluppatasi nella chiesa Occidentale, ha fatto si che la Madre di Dio fosse, non solo protagonista della cultura religiosa dei fedeli di tutte le chiese, ma anche il tramite verso Cristo e la Trinità12.

Sicuramente il culto della Vergine Maria, si affermò con il consolidarsi del cristianesimo. La Madonna diventa parte integrante del mistero di Cristo e, infatti, nel IV secolo, nascono le prime feste mariane che, ripercorrono i momenti salienti della sua vita terrena come: il Natale, l'Annunciazione, Maria ai piedi della croce, la Concezione, la Natività, la Presentazione al tempio, la Dormizione13. Furono edificate inoltre molte chiese in suo onore e molte città dedicarono a lei i primi templi.

Sempre nel IV secolo, si è andata affermando la venerazione delle immagini Mariane, ostacolato inizialmente dalla cultura giudaica poiché ritenuto un retaggio pagano.

Diversa fu invece la concezione cristiana delle icone, San Basilio ad esempio, affermava: «La pittura deve essere per l'occhio ciò che la parola è per l'orecchio: istruzione, esortazione, incoraggiamento»; mentre San Gregorio a sua volta la definì: «Un libro a colori»14.

Ben presto l'arte sacra si manifestò in ogni sua espressione, i muri delle basiliche furono riccamente affrescate di immagini e si produssero un gran numero di mosaici e di icone su legno, o più raramente su altri materiali. Le icone acquistarono sempre più potere protettivo e, ad esse ricorrevano i poveri e i ricchi, singoli individui e villaggi, città e nazioni.

 
 

II. 3. Il culto di Maria in Oriente.

 

La Palestina, per la chiesa primitiva, è la Terra Santa, dove il Verbo si è incarnato e vi ha trascorso la vita terrena insieme con la Madre e gli apostoli. Le prime comunità cristiane, furono inizialmente allontanate da Gerusalemme, ma grazie al contributo dell'imperatore Costantino e di sua madre Elena, fu segnato un nuovo e vigoroso inizio per la chiesa palestinese. Nel IV secolo, infatti, Costantino ordinò la costruzione di maestose chiese a Gerusalemme, a Betlemme, ad Hebron e sul Monte degli Ulivi15. Lo stesso avvenne nel V secolo con il contributo dell'imperatrice Eudocia, nel VI secolo ad opera di Giustiniano e, nel VII secolo, dopo l'invasione persiana, ad opera del patriarca Modesto16.

Nonostante lo sforzo, operato per molti secoli dagli imperatori che si sono succeduti in Terra Santa, la Palestina subirà la terribile invasione Araba che pose fine alla sua storia gloriosa, fino alla riconquista cristiana, avvenuta dall'XI al XIII secolo mediante le crociate.

In Palestina ebbe un ruolo preponderante, il culto della Madre di Dio, i luoghi Santi più importanti, furono appunto, quelli dedicati ai diversi momenti della vita della Vergine Maria. Numerose furono le feste celebrate in suo onore che acquistarono, col passare del tempo, carattere dapprima locale, poi universale. Per ciò che riguarda invece le icone, ne furono prodotte in grande quantità, e raffiguravano Cristo, Maria, i santi e gli apostoli. La tradizione racconta inoltre, che le prime icone mariane siano state dipinte proprio a Gerusalemme dall'apostolo Luca. Sono le importanti icone che giunsero, in un secondo tempo, a Costantinopoli, sotto il nome di Odigitria e Aghiosoritissa17, immagini della Madonna con il Bambino in braccio e senza.

Ancora la tradizione racconta che nella città costiera di Lidda, famosa per la guarigione di Enea ad opera di Pietro (At 9, 32-35), gli apostoli edificarono una chiesa in onore della Vergine Maria, e le chiesero di essere presente per la "dedicazione". La Vergine non fu presente all'evento ma in cambio, i fedeli, ricevettero un magnifico dono. Su una parete della chiesa apparve un dipinto della Madonna, a cui fu dato il nome di Achiropita18, che significa non fatta da mano umana.

Sembra invece che un'altra leggenda racconti che in Siria, fu edificata la prima chiesa, dedicata alla Vergine. Essa sembra essere del IV secolo poiché, tra le rovine della chiesa di Santa Maria di Hawa, è stata rinvenuta un'iscrizione scolpita che ne attesta l'epoca19. La Siria apparteneva, nei tempi antichi, alla Diocesi d'Oriente con capitale Antiochia. La fondazione del Patriarcato di Antiochia, viene attribuita a san Pietro. Qui il culto e la venerazione di Maria si è espresso in molte forme, grazie anche al contributo di numerosi teologi molti dei quali approfondirono gli studi di mariologia. Furono prodotte inoltre, in questa terra, un gran numero di icone che, venerate dai molti fedeli, venivano poste in ogni luogo della città, nelle chiese come nelle botteghe, nei monasteri e in ogni locale pubblico. Il più importante santuario della Siria si trova a Saidnaya, un villaggio vicino a Damasco. La fondatrice sembra sia stata l'imperatrice Eudocia, nel secolo VI20. Tale santuario fu molto conosciuto in epoca medievale infatti, a quel tempo,, diventò una tappa obbligata per quanti si recavano in Terra Santa.

Ma la città, che dall'inizio fu consacrata alla Vergine Madre di Dio, è Costantinopoli. L'imperatore Costantino, dopo essersi convertito, abbandonò la sede di Roma, per fondare una nuova capitale a Bisanzio. Da quel momento l'antica città fu ribattezzata col nome di Costantinopoli e conosciuta in tutto il mondo come la "nuova Roma"21.Tutto ciò accadde nell'anno 330 e, negli anni a seguire, i successori di Costantino proseguirono l'opera da lui iniziata, e raccolsero un gran numero di icone e reliquie di Cristo della Vergine e dei santi a cui corrispose la costruzione di un altrettanto innumerevole numero di chiese, oratori e monasteri.

Costantinopoli divenne importante quanto la Terra Santa, una seconda Gerusalemme e, a causa delle conquiste persiane e arabe che resero pericoloso l'ingresso in Sirio e in Palestina, la città divenne la principale meta di pellegrinaggio verso la fine del IV secolo. Si contavano, nella città di Costantinopoli, ben 485 chiese22, la maggior parte dedicate alla Madre di Dio.

Nel VII secolo, Teodoro Sincello, durante la festa della deposizione, pronunciò quanto segue: «Questa città regale, protetta da Dio, che si dovrebbe chiamare a giusto titolo, la città della Madre di Dio, è abbellita da un numero di templi quasi senza limite, la maggior parte dei quali è consacrata alla Madre di Dio. Certo, vi sono altre chiese nella città, ma noi non troviamo un solo luogo pubblico, una sola casa principesca, un solo sacro monastero, un solo domicilio di dignitari in cui non vi sia un santuario o un oratorio sacro alla Madre di Dio»23.

Nella città bizantina, il culto della Vergine accrebbe grazie alla sua fama di operare miracoli. E' il caso del santuario dell'Odigitria, fatto costruire probabilmente dall'imperatrice Pulcheria, che affidò ad una comunità di monaci un'icona della Madonna proveniente da Gerusalemme e dipinta da S. Luca24. In questa comunità di monaci si recavano numerosi pellegrini, molti dei quali ciechi, poiché la Madonna era ritenuta miracolosa e in grado di guarire un tale male. Proprio in questo luogo, detto "delle Guide", poiché i monaci guidavano appunto coloro che non vedevano fino al ritratto della Vergine, la Madonna assunse il nome di Odigitria, che significa Condottiera25. Per molto tempo questo luogo fu meta di pellegrini ma subì in un secondo tempo, dapprima l'occupazione dei Latini, poi la conquista turca che lo distrusse nel 147626.

Il più grande santuario Costantinopolitano dedicato alla Vergine è però quello delle Blacherne. Fu costruito intorno al 451 ad opera di Pulcherina, sotto il regno di Marciano27. Nel tempo il santuario accrebbe, furono costruiti due absidi, fu restaurato e arricchito di oro e di argento. Tutto ciò avvenne dal VI secolo, al tempo di Giustiniano, fino al 1034, con Romano III Argiro. Durante i lavori fu ritrovato un ritratto della Vergine con il Bambino in braccio, nascosta probabilmente da Costantino V. Sembra che la chiesa sia stata accidentalmente distrutta il 29 febbraio 1434. La Vergine denominata Blachernitissa, che significa "in atteggiamento Orante", è un tipo iconografico mariano molto riprodotto e conosciuto.

Andrebbero ricordati ancora altri importanti santuari bizantini, come quello mariano di Chalcoprateia, trasformato in chiesa nel IV secolo e restaurato nel VI sotto il regno di Giustiniano II28. Durante tale restauro, fu costruita una cappella laterale in cui porre la miracolosa reliquia della Cintura della Vergine. Questa fu messa in una Sacra Urna, chiamata "aghia soros", da cui deriva il termine Aghiosoritissa, che indica l'icona mariana attribuita a S. Luca, custodita nella medesima cappella29.

Nei suoi mille anni di storia imperiale, la città bizantina di Costantinopoli, si è affidata alle miracolose reliquie della Vergine provenienti da Gerusalemme, come alle icone, ritenute originali dipinti da S. Luca. Costantinopoli, inoltre, subì oltre trenta assedi ad opera di persiani, avari, arabi, ma l'icona della Vergine, molto spesso portata tra i combattenti come un palladio, riuscì miracolosamente a far scampare ogni temuto pericolo. Da tutto ciò risulta chiaro che la Madre di Dio, fu una valorosa condottiera e protettrice della città, poiché numerosi furono i suoi interventi in favore di Costantinopoli che sempre le attribuì l'indiscusso ruolo di Patrona.

 

 

II. 4. Il ritratto fisico della Madre di Dio.

 

Da duemila anni, l'arte, nelle sue molteplici espressioni, ha raffigurato la Beata Vergine Maria, e si può asserire, che Essa è la "creatura umana" 30 più raffigurata in tutti i tempi. La ritroviamo infatti, rappresentata da sola o con il Bambino in braccio, oppure con i santi o circondata dal coro degli angeli.

E' nel II secolo che comincia a divulgarsi, negli "scritti apocrifi", la figura fisica di Maria. Certo il ritratto della Vergine fatto dai primi cristiani, è quello religioso e morale anche se in tanti, soprattutto poeti antichi della Siria, non indugiarono nell'esaltarne anche la bellezza fisica.

Un primo ritratto di Maria, ci proviene da sant'Andrea da Creta, che riprende la descrizione dell'icona di S. Luca: «Ma anche il giudeo Giuseppe racconta che il Signore era stato visto nella stessa maniera: con sopracciglia congiunte, con occhi belli, con viso lungo, alquanto curvo, di buona statura, come certo appariva dimorando insieme con gli uomini; similmente l'aspetto della Madre di Dio, come oggi si vede (dall'immagine) che taluni chiamano romana»31. Un'altra significativa descrizione venne fatta da un autore greco dell'XI secolo, Giorgio Cedreno: «Maria era di piccola statura, scura di pelle, con i capelli biondi, con occhi chiari e piccoli, con sopracciglia marcate, naso piccolo, mani e dita affusolate»32. Anche un sacerdote del convento di Callistros a Costantinopoli, dell'VIII, IX secolo, Epifanio, dopo aver dato una magnifica immagine dell'aspetto interiore di Maria, si sofferma sulla descrizione fisica: «Era di alta statura, benché alcuni dicano che superasse solo i limiti della media. Il colorito, leggermente indorato dal sole della patria, ritraeva il colore del frumento. Biondi i capelli, vivaci gli occhi, un po' olivastra la pupilla. Le sovracciglia arcuate e nere, il naso un po' allungato, le labbra rosse e colme di soavità nel parlare. Il viso, né tondeggiante né aguzzo, ma elegantemente ovale; le mani e le dita affusolate…»33.

Le descrizioni sembrano coincidere con il famoso ritratto fatto da S. Luca. Secondo un'antica tradizione, tramandata dalla chiesa d'oriente, tale ritratto, viene ritenuto l'immagine più veritiera della figura di Maria poiché, secondo il racconto, la Vergine avrebbe posato dal vivo per l'evangelista. Altre tradizioni invece, parlano di tre ritratti eseguiti da S. Luca, due raffiguranti la Vergine con il Bambini in braccio e uno che la ritrae da sola. Da qui, sarebbero poi sorte, una serie innumerevole di copie sparse in tutto il mondo.

Molte teorie, sia storiche che leggendarie, sono state affermate rispetto alla fondatezza, o meno, dell'originalità del quadro dipinto da S.Luca. Qualunque sia la verità, l'icona, eseguita a Gerusalemme, fu mandata nel V secolo a Costantinopoli dove fu venerata come autentica poiché, l'abbigliamento con cui era ritratta la Vergine, era la riproduzione esatta delle reliquie conservate nei santuari di Blacherne e di Chalcoprateia34.

L'abbigliamento della Vergine, costituito dalla tunica, dal mantello e dalla cintura, è quello tipico siro-palestinese35. La tunica, di colore solitamente azzurro, era lunga fino alle caviglie e formata da tre fessure, una per la testa e le altre due per le braccia e veniva stretta sui fianchi da una cintura fatta di stoffa. Sopra ad essa veniva posta la sopraveste, o mantello, detto "maphorion", che aveva solitamente un colore scuro ed era di forma quadrata.

Per ciò che riguarda il colore degli abiti indossati dalla Vergine, col tempo si è individuata una precisa simbologia. Padre P. Florenskij, che ha condotto degli approfonditi studi scrive rispetto a questo argomento: «…La Santissima Vergine Maria viene doppiamente onorata, in sé come Semprevergine e in rapporto a Cristo come Deipara, e nelle sue apparizioni porta manti e vesti di colori differenti. Quando si mostra come Semprevergine, come la prima monaca, come protettrice della Verginità, cioè come Vergine per essenza, porta un manto azzurro o celeste. Invece, quando appare come Deipara, cioè come Madre per essenza, il suo manto è purpureo (il colore della dignità regale e della spiritualità), oppure rosso (il colore della sofferenza e dell'amore infuocato)…»36.

 

 

II. 5. Modelli iconografici della Madre di Dio.

 

La lunga lotta iconoclasta, vietò agli artisti di riprodurre immagini della Madonna, a meno che non fossero approvate dalla chiesa. Così essi dovettero riprodurre fedelmente, i pochi modelli già esistenti e venerati da sempre. Le immagini sacre della Madonna furono quindi fissate in pochi modelli, e, la Vergine, venne raffigurata in diversi atteggiamenti, a cui, corrispondono degli "epiteti specifici", ovvero dei precisi nomi sacramentali.

Sono sette in tutto i principali tipi iconografici: la Brephocratousa, l'Odigitria, l'Eleousa, L'Aghiosoritissa, la Blachernitissa, la Basilissa e la Galactotrophousa37.

 

La Brephocratousa, racchiude in se un'infinità di contenuti, il suo significato è generico, infatti, il termine in greco significa "Colei che porta il Bambino", ovvero, "Madre con Bambino"38.

Maria è raffigurata con il figlio tra le braccia, su un fondo oro che racchiude in sé il significato della Trinità nella gloria celeste.

I lineamenti del volto del Bambino sono quelli di un adulto, poiché egli è il Verbo di Dio incarnato e rappresenta Gesù Cristo, l'Uno della Trinità39. Inoltre è raffigurato con una pergamena nella mano sinistra che, sta ad indicare che Egli è il Maestro e, nel gesto benedicente della mano destra, è racchiuso il significato di Santo e di Tuttosanto, termini che in greco si traducono "Panaghion"40.

Maria, in quanto Madre del "Tuttosanto" è designata dall'appellativo "Theotokos" o "Deipara", che significano "Madre di Dio", è anche l'"Aeiparthenos", ovvero la Semprevergine, simboleggiata dal velo che spesso copre i capelli, detto in greco "maphorion", e dalle stelle che si trovano sulle spalle e la fronte. Maria è detta ancora "Panaghia", che significa Tuttasanta e l'aureola che orna il suo capo e quello del Bambino è il principale simbolo della santità.

Oltre a questi significati specifici la Brephocratousa racchiude in se anche un significato cosmico: l'unità tra la madre e il Bambino simboleggia, infatti, quella tra il Creatore e la sua creatura e, la Madonna stessa risulta essere l'immagine della chiesa che, come Lei, benché vergine, genera i suoi figli41.

 

L'Odighitria, in greco, significa "Condottiera", "Colei che mostra la via" e il nome stesso deriva dal convento degli Odigi, dove era conservato il ritratto di Maria ritenuto un originale di S. Luca.

La Vergine è ritratta in questa icona in posizione frontale, con lo sguardo fisso rivolto a chi la osserva42, è raffigurata generalmente a mezzo busto ma esistono delle copie dove è rappresentata per intero. Sul braccio sinistro porta il Bambino, anch'egli, come la madre, in posizione frontale e reca nella mano sinistra la pergamena mentre la destra è alzata in simbolo di benedizione.

Il Bambino è, come avviene nella maggior parte delle raffigurazioni fissate nei tipi iconografici che andremo ad analizzare, insieme anche adulto, nei lineamenti e nell'intensità dello sguardo.

Gli abiti con cui l'Odighitria è ritratta, differiscono nei colori dalla Brephocratousa, la tunica è verde, il maphorion invece, di colore rosso e, i capelli, sono completamente coperti da una cuffia aderente.

Sembra che il prototipo dell'Odighitria sia andato perduto, ma esistono numerose copie, anche molto antiche, soprattutto in Italia, giunte dalla Grecia e da Costantinopoli.

 

L'Eleousa, detta anche "Glykophiloùsa", è "la Vergine della tenerezza"43: La Madonna in questa icona si discosta, nell'atteggiamento, sia dalla Brephocratousa che dall'Odighitria, in cui la Vergine aveva un'espressione distaccata profusa di regalità e serietà.

L'Eleousa ha un atteggiamento nel volto, d'affetto misto a tenerezza. Il Bambino che le sta in braccio porge amorevolmente le guance al volto della Madre e sembra cingerla in un affettuoso abbraccio. Anche L'Eleousa sembra derivare dal prototipo di S. Luca anche se, la più antica rappresentazione, risulta essere fatta interamente in avorio, ed essere di origine Egiziana dell'VIII secolo44. Infatti tale icona è presente a Costantinopoli solo dall'XI, XII secolo.

Si possiedono tutt'oggi molte riproduzioni di questo tipo iconografico, nelle forme più svariate, dai mosaici agli affreschi, alle monete e, numerose sono inoltre le varianti che vedono il Bambino ritratto in diverse posizioni45.

 

L'Aghiosoritissa è la Madonna venerata all'"Aghia Soros", ovvero nella chiesa di Costantinopoli dove era custodita la reliquia della Sacra Cintura. Può trovarsi anche sotto la denominazione di "Chalcopratissa", poiché il santuario di Chalcoprateia si trovava nel quartiere del mercato del rame, detto in greco appunto "chalca"46.

Il prototipo sembra essere l'originale fatto da S. Luca, custodito a Costantinopoli dal V secolo e proveniente da Gerusalemme47. Durante la sanguinosa lotta iconoclasta, il prototipo fu perso, ma furono fatte molte riproduzioni che, dopo essere state custodite per molto tempo a Costantinopoli, furono portate in un secondo tempo in Italia, soprattutto a Roma, in Grecia, Germania e Russia48.

L'Aghiosoritissa è raffigurata senza il Bambino, solitamente a mezzo busto, e appartiene al "tipo" dell'"Orante". Il suo sguardo è rivolto all'osservatore anche se non è diretto come avviene nell'Odighitria o nella Brephocratousa, e, le mani, sono levate in cielo in atto di preghiera.

 

La Blachernitissa, come il precedente tipo iconografico, è ritratta in atteggiamento orante. Veniva venerata nel santuario costantinopolitano di Blacherne, da qui appunto il suo nome, ed era considerata la Patrona della città, più volte invocata in tempo di assedio nemico, perché la proteggesse per mezzo dei suoi prodigiosi miracoli.

Il santuario di Blacherne andò bruciato, nel 1433, in un rovinoso incendio e l'icona, ritenuta il prototipo originale, si distrusse. Nonostante ciò molte furono le riproduzioni su monete, affreschi, stoffe e naturalmente icone49.

Esistono due varianti della Blachernitissa, una che vede la Vergine raffigurata con il Bambino ritratto in posizione frontale, l'alta da sola. Ambedue le varianti possono essere ritratte a mezzo busto o per intero.

 

La Basilissa è un tipo iconografico affermatosi soprattutto dopo la lotta iconoclasta, anche se, nell'arte romana catacombale, era presente la figura trionfale della Vergine. Essa è raffigurata infatti, su di un trono, nelle vesti della Basilissa, ovvero di "Imperatrice", "Regina". Si trova raffigurata generalmente, seduta in trono con il Bambino tra le braccia e circondata dal coro degli angeli e dei santi.

Il prototipo sembra essere di origine bizantina poiché, questo tipo iconografico, è presente in tutte le zone dove l'arte bizantina è approdata, lo ritroviamo infatti, in Siria, Cappadocia, Egitto, Cartagine, Italia, Russia, Romania e Bulgaria50.

Solitamente all'icona della Basilissa viene riservato, nelle chiese, un posto d'onore, poiché essa è venerata come la "Regina degli angeli e dei santi", "Imperatrice del creato", "Gioia di Dio", "La più pura di tutte le donne" ed infine poiché la Basilissa è considerata "la bella e dolce insieme"51,tale icona viene posta , infatti, nel catino absidale centrale delle chiese.

 

La Galactotrofousa è la "Madonna allattante". Il tipo iconografico è quello classico, che vede la Vergine a mezzo busto, ma, può trovarsi anche ritratta seduta o in piedi, con il Bambino retto col braccio sinistro ma con la mano destra, a differenza dei precedenti modelli iconografici, gli porge il seno. Nel volto sia della Madre che del Figlio, è impressa grande regalità ma anche distacco.

Le più antiche rappresentazioni della Galactotrofousa, risalenti al VI secolo, si trovano in Egitto e sembra siano di retaggio pagano, poiché imitano modelli egiziani come la Dea Isis, anch'essa allattante52. Dall'Egitto sembrano poi essere passate in Siria, nei Balcani e in Grecia, mentre poco frequentemente si trovano a Bisanzio e nel mondo slavo.

Un poeta siculo del IX secolo, parla nei suoi versi dello splendore della Vergine che allatta il Bambino. Egli è conosciuto con il nome di Giuseppe l'Innografo :«Tu porti colui che tutto porta e nutri colui che dà cibo a tutti. Grande e tremendo il tuo mistero, o Vergine Madre di Dio, arca venerata della santificazione»53.

Sembra dunque che gli antichi, parlassero senza il minimo pudore del grande mistero della Vergine allattante e del suo "Beatus venter"54, della Madre di Dio, e del suo glorioso ruolo di nutrice.

 

(vedi icone in ambito toscano)                        ( vedi Le Madonne allattanti )

 

Note al Capitolo


 

1 G. Gharib, Le icone mariane, storia e culto, Città Nuova Editrice, Roma, 1993, p. 46.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Ivi, p. 48.

5 H. Belting, Il culto delle immagini, Storia dell'icona dall'età imperiale al tardo Medioevo, Carocci, …, p. 14.

6 Ibidem.

7 Ivi, p. 15.

8 Ivi, p. 16.

9 Ivi, p. 19.

10 Ivi, p. 22.

11 G. Gharib, op. cit., p. 7.

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 12.

14 Ivi, p. 13.

15 Ivi, p. 15.

16 Ibidem.

17 Ivi, p. 16.

18 Ivi, p. 17.

19 Ivi, p. 24.

20 Ivi, p. 28.

21 Ivi, p. 31.

22 ivi, p. 34.

23 Du Cange, Costantinopolis christiana, t. IV, Venezia, 1729, p.55, cit in G. Gharib, op. cit., pp. 34-35.

24 G. Gharib, op. cit., p. 37.

25 Ibidem.

26 Ibidem.

27 Ivi, p. 40.

28 Ivi, p. 43.

29 Ivi, p. 43.

30 G. Leone, Di alcune immagini della Beata Vergine Maria nell'attuale diocesi di Cassano allo Jonio, Publiepa Edizioni, Paola (CS), 1999, p.21.

31 G. Gharib, op. cit., p. 75.

32 Ivi, p. 76.

33 Ibidem.

34 Ivi, p. 79.

35 Ivi, p. 80.

36 P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, Rusconi, Milano, 1974, pp. 634-638.

37 G. Garib, op. cit., p. 86.

38 Ibidem.

39 Ibidem.

40 Ibidem.

41 Ivi, p. 87.

42 Ivi, p. 88.

43 G. Leone, Sulle iconografie bizantine della Madonna in Calabria, Compilate da G. Cappelli in "Calabria Nobilissima", XL-XLI (1988-1989), edito 1994, p. 48.

44 G. Garib, op. cit, p. 91.

45 Ivi, p. 92.

46 Ibidem.

47 Ivi, p. 93.

48 Ibidem.

49 Ivi, p. 94.

50 Ivi, p. 95.

51 Ibidem.

52 Ivi, p. 97

53 Ibidem.

54 Ibidem.

 

 

                                                                                        

 

 CAPITOLO  TERZO

 

IL CULTO DI MARIA NEL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI

 

 

III. 1. Importanza e affermazione del culto della Vergine Maria.

 

La tradizione cristiana dei primi secoli, fu ricondotta a noi tramite una vasta letteratura scaturita dallo studio dei padri della chiesa e dei primi autori cristiani.

In tali scritti viene dedicato poco spazio alla figura di Maria. Essa è la Vergine Madre di Cristo ma, di lei si parla raramente e soprattutto in modo separato dalla figura del Figlio.

A partire dalla seconda metà del IV secolo, l'attenzione sulla figura di Maria crebbe e i padri e gli scrittori cristiani cominciarono a considerare il parallelo tra la figura della Vergine e la Chiesa. La devozione mariana si affermò ancor di più dopo i due concili, quello di Efeso del 431 e di Calcedonia del 4511.

Il ruolo di Maria nella religione cristiana divenne sempre più incisivo poiché si è data sempre più importanza allo straordinario potere della figura della Madre Vergine del Salvatore. L'attenzione si basò sui due dogmi mariani per eccellenza: La "Maternità divina", e il "Concepimento verginale"2.

Ripercorrendo brevemente le tappe della religiosità cristiana attraverso gli scritti sacri, possiamo costatare come la figura di Maria fosse del tutto velata sotto profezie enigmatiche3 nell'Antico Testamento mentre la sua presenza, nel Nuovo Testamento, rimane silenziosamente assente durante la vita pubblica di Gesù. Negli atti degli apostoli, invece, della figura di Maria se ne fa appena un accenno e, per finire, nell'Apocalisse, si confonde con la figura della Chiesa.

Gli stessi scritti dei padri apostolici, mantengono il perpetuo silenzio delle origini e la ragione sembra sia da rintracciare nella tradizione pagana, che vede l'affermarsi del culto di divinità femminili come la "Magna Mater" dei romani; la "Cibele" per i frigi; l’"Astarte" per i palestinesi; l’"Iside" per gli egiziani; la "Diana" per gli efesini; e molte altre, affermatesi anche in ambiti religiosi estranei a quelli greco-romani4.

Il silenzio rispetto alla pur importante figura della Madre di Dio, sembrò essersi perpetuato per molto tempo perché non si voleva far coincidere la figura di Maria con il culto delle precedenti divinità femminili. Il vangelo, d'altra parte, veniva divulgato ad un popolo che risentiva ancora fortemente di un lungo retaggio pagano e si pensò quindi di evitare che il ruolo di Maria, accanto a Cristo suo figlio, fosse interpretato in modo ambiguo dai fedeli.

Lenta e avvolta nel silenzio appare la figura di Maria, ma i seppur minimi riferimenti su di essa fatti dai padri della chiesa nei loro scritti, rendono la figura della Vergine una delle più intense e stimolanti, rispetto alla sua misteriosa presenza materna nella religione cristiana.


 

III. 2. Maria negli scritti dei padri della Chiesa.

 

Agli albori, la teologia cristiana, si è espressa mediante la "cristologia", la dottrina delle due nature, divina e umana, unite in Cristo. Si cercò di formulare la definizione del Salvatore e della sua missione sulla terra. Inizialmente gli studi si concentrarono sul tema della Resurrezione del Signore e, col passare del tempo l'attenzione si volse verso altri eventi quali: la nascita di Gesù e il mistero dell'incarnazione.

I primi cristiani ritenevano che Gesù avesse una doppia natura, umana e divina, e due sette di teologi, gli Ebioniti e i Doceti, si contrapposero per lungo tempo, nel tentativo di trovare una spiegazione in merito. I primi, gli Ebioniti, d’origine giudaico-cristiana, negarono la natura divina di Gesù e la sua nascita verginale, considerando quindi, la nascita naturale da Maria e Giuseppe5, pur accettando la sua figura di Messia e il suo ritorno sulla terra per compiere la sua missione gloriosa. I Doceti, invece, facenti parte del vasto movimento religioso-culturale dello gnosticismo6, affermarono che Dio fosse di natura puramente divina ed ebbe un corpo reale solo in apparenza, infatti, secondo gli gnostici, Maria fu solo un tramite della materializzazione dello spirito di Dio.

In questo contesto si trovarono ad operare i padri della chiesa che con forza, affermarono le proprie idee sul glorioso mistero della natura, insieme umana e divina, del Creatore. La loro dottrina si basava sul "cherigma apostolico primitivo"7, che affermava che Gesù fosse nato per opera dello Spirito Santo dalla Vergine Maria, che fosse morto e risorto e si trovava alla gloriosa destra del Padre per ritornare poi sulla terra alla fine dei tempi.

La nascita Verginale fu, invece, il dogma per eccellenza della mariologia, e non poté essere considerato a se rispetto all'insegnamento cristologico poiché, la maternità di Maria era inscindibilmente legata alla persona del figlio Gesù.

I padri della chiesa conobbero gli apostoli di persona. Essi dovettero divulgare e affermare una religione, come quella cristiana delle origini, che rischiava di essere svuotata di contenuto dalle numerosissime correnti filosofiche e religiose del tempo. Secondo il loro insegnamento, Maria e la mariologia, erano da considerare come un fondamento basilare della religione cristiana, eppure, anche nei loro scritti, si parla pochissimo della Vergine.

Risulta importante, a questo punto, analizzare alcuni dei maggiori padri della chiesa e soprattutto la figura di Maria che si evince dai loro scritti, per avere una più chiara visione della figura non solo della Vergine stessa, ma anche di Cristo, nell'economia della salvezza cristiana, e seguire le tappe della storia dell'affermazione della dottrina mariologica.

 

 

III. 3. Eva e Maria.

 

E' nel II secolo che gli apologisti cominciano ad affermare l'importanza della figura di Maria rispetto a Eva. Giustino, teologo, laico e martire, fu il primo ad adattare la terminologia filosofica al pensiero cristiano e ad operare questo parallelismo, nato appunto, per meglio comprendere la funzione della Vergine, nell'economia della salvezza divina8. Maria aveva, secondo Giustino, un'importante funzione a fianco del Cristo, come Eva l'ebbe accanto ad Adamo. La vergine Eva, ricevette la proposta divina, come avvenne alla seconda Eva, la Vergine Maria, ma, mentre la prima cedette al peccato, la seconda si oppose ad esso mediante l'obbedienza verso Cristo. A tal proposito scrive Giustino: «Il figlio di Dio si è fatto uomo per mezzo della Vergine, affinché la disobbedienza provocata dal serpente fosse annullata attraverso la stessa via per la quale prese inizio.

Come Eva, che era vergine e incorrotta, dopo aver accolto la parola del serpente, partorì disobbedienza e morte, allo stesso modo Maria, la Vergine, avendo ricevuto dall'Angelo Gabriele il buon annuncio che lo Spirito Santo sarebbe disceso su di lei e che la potenza dell'altissimo l'avrebbe adombrata, concepì fede e gioia, per cui il santo nato da lei sarebbe stato il Figlio di Dio»9.

Allo stesso modo Ireneo di Lione, considerato "il padre della dogmatica cattolica", riprende il tema del parallelismo tra Eva e Maria, approdando ad una nuova lettura dei fatti. Egli parte dal concetto della ricapitolazione in Cristo e scrive: «Il Figlio di Dio, quando si incarnò e divenne uomo, ricapitolò in se stesso la lunga storia degli uomini, procurandoci in compendio la salvezza, affinché in Cristo Gesù recuperassimo ciò che avevamo perduto in Adamo, cioè l'essere ad immagine e somiglianza di Dio. Infatti non essendo possibile che l'uomo, vinto e spezzato dalla disobbedienza, fosse plasmato di nuovo e ottenesse la palma della vittoria, ed essendo ugualmente impossibile che ricevesse la salvezza colui che era caduto nel peccato, allora il Figlio di Dio ha operato l'una e l'altra cosa: egli, che era il Verbo di Dio, discese dal Padre e si incarnò; si abbassò fino alla morte e portò a compimento l'economia della nostra salvezza»10.

Cristo, secondo Ireneo, distrusse il peccato sorto dalla disobbedienza di Adamo, mediante la totale obbedienza al Padre suo11. Dalla ricapitolazione si evince che tutto è stato rinnovato dal nuovo Adamo.

Dopo aver chiarito ciò, passa ad analizzare Eva e la nuova Eva. Scrive Ireneo: «Come Eva, la quale, pur avendo come marito Adamo, era ancora vergine, disobbedendo divenne causa di morte per se e per tutto il genere umano, allo stesso modo Maria, che, pur avendo lo sposo, era ancora vergine, obbedendo divenne causa di salvezza per se e per l'intero genere umano. Così dunque il processo della disobbedienza di Eva trovò la soluzione tramite l'obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato a causa della sua incredulità, Maria lo ha sciolto mediante la sua fede»12.

Eva e Maria erano ambedue vergini e sposate, la disobbedienza e l'incredulità della prima, causarono morte e rovina per il genere umano, l'obbedienza e la fede, invece, fecero si che la seconda, liberasse l'umanità dal peccato.

Ireneo di Lione, attribuisce alla Vergine Maria un nuovo appellativo, quello di "avvocata di Cristo" «Come Eva fu sedotta dalla parola dell'angelo (decaduto) al punto di fuggire davanti a Dio, avendo trasgredito la sua parola, così Maria ricevette il lieto annuncio per mezzo della parola dell'angelo, cosicché, obbedendo alla sua parola, portò Dio dentro di se. E come quella si lasciò sedurre fino a disobbedire a Dio, così questa si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio. Per questo la Vergine Maria divenne avvocata della vergine Eva. E come il genere umano fu legato alla morte a causa di una vergine, così ne fu liberato per mezzo di una Vergine, giacché la disobbedienza di una Vergine, fu controbilanciata dall'obbedienza della Vergine»13.

Maria diventa dunque, l'antitipo di Eva, come il Figlio di Dio diviene il nuovo Adamo, il nuovo capo dell'umanità. In questo contesto il Nuovo Testamento altro non è se non la continuazione del Vecchio Testamento. L'economia divina interrotta da Adamo, e di conseguenza da Eva a lui legato, viene ripresa e completata da Cristo, e da Maria che a lui è associata14.

Maria sarebbe dunque, la "causa salutis" poiché essa è l'antitipo di Eva, che fu la "causa mortis"15. L'obbedienza di Maria al suo Dio fu consapevole e volontaria, fece il contrario di Eva, obbedì e, proprio mediante l'obbedienza, riparò alla rovina del genere umano provocata dalla disobbedienza di Eva.

Un altro importante padre della chiesa, Efrem Siro, del IV secolo, ci parla del parallelo antitetico Eva-Maria, e scrive: «Ecco il mondo! Gli sono stati dati due occhi, Eva era l'occhio sinistro e cieco, Maria invece è l'occhio destro e luminoso. A causa dell'occhio che si è oscurato, il mondo divenne tenebroso. Gli uomini allora, brancolando nelle tenebre, scoprirono la pietra del peccato e la considerarono come una specie di divinità, chiamando verità la menzogna. Ma quando il mondo riprese a splendere grazie all'altro occhio e alla luce celeste che si installò nella cavità di quest’occhio, allora gli uomini ritrovarono un'altra volta l'unità, accorgendosi che ciò che avevano scoperto causava la rovina della loro vita»16.

Risulta chiaro come Efrem parli del parallelismo tra queste due figure in termini opposti, da un lato abbiamo Maria, la luce e la vita, dall'altro Eva, tenebre e morte. Inoltre questo autore ribadisce il ruolo della donna accanto all'uomo, ed è il primo cristiano che attribuisce a Maria l'appellativo di "Sposa di Cristo".

Dagli scritti di Efrem Siro, si evincono forti sentimenti di devozione e amore rispetto alla Madre di Dio.

Ancora nel IV secolo, nel periodo di maggior splendore della letteratura patristica, stimolata anche dall'imperversare dell'eresia che tentava in tutti i modi di colpire l'origine divina di Dio, operò un altro grande padre della chiesa, Epifanio di Salamina. Egli affrontò gli studi mariologici sotto ogni aspetto e, nella sua opera, intitolata "Panarion", si trovano due paragrafi dedicata al parallelo Eva-Maria.

Rielaborando le teorie dei suoi predecessori Giustino e Ireneo, ne fonda una nuova, asserendo che sia Maria, e non Eva, la vera Madre degli uomini poiché Maria ha concepito e partorito il Signore e quindi lei, e non Eva, ha dato alla luce la vita vera degli uomini17.

Anche il poeta liturgico Sedulio, vissuto nel V secolo, apprezzato nel medioevo e nell'età moderna, ci parla di questo famoso parallelo18.

Gli anni tra i concili di Efeso e di Calcedonia, videro l'introdursi, nella liturgia ambrosiana, la commemorazione della Vergine Maria. Sedulio fu uno dei maggiori cantori di lode alla Vergine. Egli scrive, infatti, in un carme, a proposito della nuova Eva: «Come la tenera rosa spunta tra le spine pungenti e non ha nulla di offensivo, anzi con la sua bellezza oscura il proprio ceppo, così la Santa Maria, discesa dalla stirpe di Eva, purifica, quale vergine novella, il crimine della vergine antica. E siccome la vecchia natura giaceva corrotta sotto la condanna della morte, con la nascita di Cristo l'uomo fu in grado di rinascere e di deporre la macchia della vecchia carne»19.

Maria è nata dunque da Eva ma, come la rosa tra le spine non perde la sua bellezza, così Maria non è stata contaminata dal peccato della sua stirpe.

In un altro componimento, Sedulio riprende questo tema: «A causa di uno solo, tutti i discendenti perirono; e tutti si salvarono a causa di uno solo. Una sola fu la donna a causa della quale fu aperta la porta della morte; una sola fu pure la donna grazie alla quale è tornata la vita»20.

Maria, secondo Sedulio, è pienamente coinvolta nell'economia di salvezza, anzi, il suo contributo è fondamentale per il compimento della gloriosa morte e resurrezione di Dio e degli uomini. Infatti, per citare un ultima volta il poeta: «Siamo la cieca prole dei figli della misera Eva; e portiamo con noi le tenebre nate da un errore longevo. Ma quando Dio si degnò di assumere la forma mortale dell'umana natura, dalla Vergine è a noi venuta una terra di salvezza»21. La Vergine è, in sostanza, la salvezza dell'uomo.

Anche Pietro Crisologo, un predicatore di fama nato intorno al 380 e morto nel 450 circa, elaborò e sviluppò la dottrina sull'incarnazione del Signore e, parimenti, quella del ruolo della Vergine nel mistero di Cristo22. Egli si accostò all'antico parallelo Eva-Maria, in modo del tutto differente dai precedenti autori, in maniera che potremmo dire, del tutto originale.

Crisologo spiega, commentando la parabola evangelica del lievito: «La donna, che dal diavolo aveva ricevuto il lievito della perfidia, ha accolto da Dio il lievito della fede. Lo nascose in tre misure di farina, vale a dire in tre periodi della storia umana, che sono. Il primo da Adamo a Noè; il secondo da Noè a Mosè; il terzo da Mosè a Cristo. Così la donna, che in Noè rovinò l'intera massa del genere umano mediante il lievito della morte, reintegrò in Cristo tutta la massa della nostra carne tramite il lievito della risurrezione. Inoltre la donna, che aveva confezionato il pane della sofferenza e del sudore, fece cuocere il pane della vita e della salvezza»23.

E, esponendo ancor di più il suo pensiero aggiunse: «Per mezzo di Cristo divenne madre di tutti i viventi colei che in Adamo era diventata la madre di tutti i morti. Proprio per questo Cristo volle nascere, affinché, come a causa di Eva la morte giunse per tutti, così a causa di Maria ritornasse per tutti la vita. Maria infatti risponde alla tipologia del lievito, ne anticipa la similitudine, ne autentica la figura allorché riceve dall'alto il lievito del Verbo e la carne umana nel suo seno verginale; anzi nel suo seno verginale trasfuse l'uomo celeste nell'intera massa»24.

Maria inoltre, secondo Crisologo, riscatta la negatività propria di cui la donna aveva sempre avuto fama dall'inizio della creazione, a causa del peccato operato da Eva, infatti, proprio per questo Maria è non solo la Madre di Cristo, ma anche di tutti i viventi.


 

III. 4.  Maria Vergine  e  Madre.

 

Il dogma del concepimento verginale di Cristo, la reale incarnazione e la partogenesi, sono il punto focale della cristologia, ma anche il crocevia che congiunge quest'ultima dottrina alla mariologia25. Menke infatti scrive: «E' proprio su questo tema, infatti, che si gioca il rapporto tra cristologia e mariologia, tra fatto e interpretazione, tra storia e dogma»26.

Nulla esiste nell'umanità che possa generare il Salvatore, poiché da Cristo si forma il genere umano e in lui tutto è creato. Egli ha origine da Dio e dallo Spirito Santo e non dalla carne e dal sangue.

Il concepimento verginale di Maria, pur essendo reale, ha delle caratteristiche uniche.

Tertulliano, uno dei più importanti padri della chiesa del II secolo, fu un chiaro sostenitore della doppia natura di Cristo, quella umana e quella divina27. Egli scrive a proposito della partogenesi: «Il Verbo divenne uomo per la salvezza dell'uomo, giacché soltanto in quanto uomo poteva compiere la sua opera a nostro vantaggio. Così Egli nacque dalla Vergine, come Figlio di Dio non aveva bisogno di un padre terreno, ma gli era necessario trarre la propria umanità da una fonte terrena. Egli entrò nella Vergine come aveva predetto l'angelo dell'Annunciazione e da lei ricevette la sua carne. La nascita fu un fatto reale. Il figlio di Dio nacque da lei e non, come pretende lo gnostico Valentino, semplicemente "attraverso" di lei, quasi fosse semplicemente il canale attraverso cui passò»28.

Secondo Tertulliano non esiste alcun dubbio «Gesù è Dio perché possiede lo Spirito di Dio, ed è uomo perché ha ricevuto la vera carne da Maria, in modo assolutamente straordinario»29. Con la stessa fermezza con cui Tertulliano afferma la veridicità del concepimento verginale di Maria, egli nega la verginità perpetua della stessa. Infatti, per dimostrare che Cristo si è fatto uomo mediante la reale incarnazione, egli nega la verginità di Maria dopo il parto: «Vergine per essersi astenuta dall'uomo; non-Vergine per aver partorito… Vergine quando concepì, divenne donna nel momento in cui diede alla luce il proprio Figlio…»30.

Anche Giustino è convinto che il Verbo si è fatto uomo, nascendo dal seno di una vergine: «Egli che anteriormente era Logos, e talora apparve in sembianze di fuoco, talora in modo incorporeo, infine per volontà di Dio divenne uomo, preesisteva in quanto Dio e fu fatto carne della Vergine, perché nacque come un uomo»31.

Origene, anch'egli del II secolo, lega il parto verginale alla condizione di fede integrale, e scrive in proposito: «Se uno crede che colui che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato era una persona sacra, venuta per portare al mondo la salvezza, ma non crede alla sua nascita da Maria e dallo Spirito Santo, anzi lo ritiene nato da Giuseppe e Maria, a costui manca una condizione indispensabile per possedere una fede integrale»32. Inoltre il concepimento verginale, secondo Origene, è esente dalla "concupiscenza" e dalle passioni sregolate, in tal modo Gesù sarebbe nato con sembianze umane ma privo del peccato che investe ogni uomo fin dalla nascita.

Anche la verginità perpetua di Maria è per Origene, a differenza di Tertulliano, un dato di fatto reale, che non può essere negato. Egli smentisce quanti affermano che Gesù avesse dei fratelli, come è scritto nei vangeli apocrifi, ed inoltre afferma che Dio scelse Maria, che era fidanzata e promessa sposa a Giuseppe, quando avrebbe potuto scegliere un'altra vergine non fidanzata, perché si potesse evitare "ogni motivo di onta per la vergine allorché questa sarebbe apparsa gravida"33, ed inoltre perché, come aveva osservato lo stesso Ignazio di Antiochia, in una lettera consultata da Origene, il parto Verginale fu nascosto appositamente da Dio al Demonio, e ciò fu possibile grazie al matrimonio di Maria con Giuseppe34.

Epifanio di Salamina, riteneva che Cristo fu generato dalla Vergine, senza seme virile, prendendo il suo corpo dalla carne di Maria, e, contro i vangeli apocrifi che affermavano la non verginità della Madonna, egli ribatté con la convinzione che Giuseppe fosse un anziano di ottanta anni, posto al fianco di Maria perché ne fosse custode e garante mentre, i fratelli di Gesù, citati sempre nei vangeli, sarebbero, secondo Epifanio, figli di Giuseppe, avuti dalla precedente moglie da cui poi è rimasto vedovo35.

Gregorio Nazianzeno, padre della chiesa del III secolo, parla di Maria come un "Tempio Verginale". Secondo lui, Maria sarebbe il tempio di Cristo e Cristo, a sua volta, il tempio del Verbo36. Ribadisce inoltre, che Cristo fu generato da "una Vergine intatta", ciò spiegherebbe anche la doppia natura di Dio.

Ambrogio, Vescovo di Milano del IV secolo, ha esaltato la figura di Maria proprio in quanto Vergine e Madre. Secondo lui il parto verginale era il segno tangibile del mistero divino, era l'evento preannunciato dal profeta Isaia, Gesù era generato dalla Vergine, poiché veniva da Dio e dallo Spirito Santo37.

Sulla verginità di Maria, nel IV secolo, nacque una forte controversia che vide protagonista Girolamo, l'uomo più colto del suo tempo, contro gli eretici Elvidio e Gioviniano.

Girolamo scrisse in proposito un vero e proprio trattato di esegesi mariana, intitolato "Sulla verginità perpetua di Maria contro Elvidio"38, in cui si preoccupò di affermare a tal punto l'importanza e la grandezza della partogenesi e l'alto valore della verginità, che per riuscire a scalzare l'avversario, l'eretico Elvidio, che sosteneva l'importanza di ambedue la condizioni per la cristianità, divenne un eccessivo sostenitore della verginità a scapito della dimensione matrimoniale che pur era altrettanto importante per i cristiani.

Al di là di ciò, Evidio affermava che Maria, dovrebbe essere il modello di vita, sia verginale, in quanto fu la sua condizione prima del parto, che di sposa e madre esemplare, poiché tale divenne, non essendo più vergine, dopo il parto39.

Ma Girolamo, con fermezza di opinioni ribatté nei suoi scritti: «La Santa Vergine Maria, la beata Maria, madre e vergine, vergine prima del parto e vergine dopo il parto! Io sono nello stupore perché un vergine è nato da una Vergine e dopo la nascita del vergine la madre è rimasta Vergine»40.

Secondo Agostino di Ippona, del IV, V secolo, il ventre della Vergine, "fecondo e illibato", ha dato alla luce il Cristo. E' una condizione indispensabile per seguire la retta fede, credere nel parto verginale di Maria, nella vergine e Madre, e nella verginità perpetua. Solo così, secondo il vescovo di Ippona, si può cogliere il vero significato dei vangeli, poiché in essi è contenuta la verità di fede della Verginità di Maria, appunto perché il vangelo, è verità41.

Il "concepimento verginale" è il primo tra tutti i dogmi mariani, e sta alla base dell'unione della dottrina mariologica, con un'altra importantissima, quella cristologica.

La Bibbia ebraica offre gli spunti per comprendere i fatti che sono alla base dei dogmi cristiani, allo stesso modo, la conoscenza dei primi scrittori cristiani e dei padri della chiesa, fanno chiarezza sulla figura di Maria, a lungo avvolta nel mistero delle poche scritture a lei dedicate.

La Vergine Maria è tra le figure più importanti di tutti i tempi, poiché essa è parte attiva dell'economia di salvezza, è inserita nella storia di Cristo, poiché essa è la Madre Vergine del Salvatore, Madre degli uomini e della vita stessa.


 

III. 5.  La Vergine  e  la Chiesa.

 

E' nella seconda metà del IV secolo che, i padri della chiesa volsero la loro attenzione sulla figura di Maria e su quella della chiesa, a lei collegata.

La Vergine e la chiesa, pur essendo due realtà distinte, tramite la riflessione dei grandi padri, verranno intimamente collegate.

Il primo padre della chiesa che si interessò a tale delicato tema mariologico, è Efrem di Siro. Egli può, a ragione, essere considerato gran poeta lirico42, venne infatti soprannominato a suo tempo, "cetra dello Spirito Santo", e meritò inoltre il titolo di "dottore mariano". Secondo Efrem, una forte analogia, lega le due figure, quella di Maria e quella della chiesa, anzi la prima, sarebbe la rappresentazione della seconda. Scrive a tal proposito, Efrem: «La Vergine Maria è il simbolo della Chiesa, allorché riceve le primizie del vangelo. Ed è a nome della Chiesa che Maria vide Gesù alla risurrezione. Sia benedetto il Signore che ha riempito di gioia Maria e la Chiesa. Noi chiamiamo la Chiesa anche con il nome di Maria. Essa è degna di un duplice nome»43. Maria e la Chiesa, sono inoltre, secondo Efrem, identificabili, poiché le accomuna non solo la voglia di avvicinarsi a Dio, ma anche la capacità di riconoscerlo, di individuare i segni della seconda venuta. Inoltre, mediante l'eucarestia, si svela un'altra analogia tra le due figure, infatti, come la chiesa offre ai fedeli il pane e il vino della salvezza, corpo e sangue di Cristo, Maria ci offre il pane della vita44.

Anche Ambrogio, vescovo di Milano, definisce Maria, tipo o immagine della chiesa e, non solo approfondisce il dogma già espresso da Efrem, ma il suo pensiero diventa basilare per comprendere la tradizione cristiana successiva. Scrive Ambrogio a proposito dell'importante analogia che lega Maria alla chiesa: «Ben dice (il vangelo): sposata ma vergine; perché essa è il tipo della Chiesa, la quale pure è sposata ma rimane immacolata. (La Chiesa) vergine ci ha concepito e vergine ci partorisce senza lamento. E forse per questo santa Maria, sposata a uno (Giuseppe), viene rese feconda da un altro (lo Spirito Santo) , per dimostrare che anche le singole chiese sono fecondate dallo Spirito e dalla grazia, pur essendo unite alla persona di un sacerdote temporale»45.

Ambedue, la chiesa e Maria, sono madri e vergine poiché su di esse, allo stesso modo, è sceso lo Spirito Santo. Inoltre Maria, che ha dato alla luce della vita Cristo, da cui tutto proviene, ha messo al mondo anche la chiesa, e l'umanità intera. L'edificazione della chiesa, è ritenuta infatti, il corpo di Cristo.

Nel V secolo, continua ancora il lungo iter che vede la figura di Maria e la dottrina mariologica stessa, prender piede e diventare il punto focale degli studi della patristica. Maria viene considerata una figura di grande importanza, alla stessa stregua della chiesa, che troneggiava sulle comunità cristiane.

Agostino di Ippona, "filisofo e mistico", "poeta e teologo", "scrittore e oratore", raccolse l'eredità del IV secolo, e formulò un nuovo pensiero su Maria e la chiesa e sull'enorme analogia in esse contenute46.

Il posto di Maria, come spiega il vescovo di Ippona, è all'interno della chiesa, anzi a quest'ultima essa è legata da indissolubili e inscindibili legami. La chiesa, secondo il pensiero di Agostino, è più grande di Maria, proprio perché quest'ultima ne è parte integrante, infatti scrive: «Maria è parte della Chiesa, membro santo, membro sovraeminente, ma tuttavia membro del corpo intero. Se è membro del corpo intero, il corpo senza dubbio è superiore a un membro»47.

Cristo è a capo della chiesa e, ogni cristiano, fa parte dello stesso corpo di Cristo, come Maria è un membro del Corpo Santo. Ma la Vergine è anche madre del Capo, e madre delle membra che fondano la chiesa. Ma il vescovo di Ippona, preferisce considerare Maria, non solo come madre del corpo mistico, ma proiettata verso la molteplicità dei fedeli, quindi, la maternità di Maria andrebbe, in tal senso, a coincidere con la maternità della chiesa nei confronti dei credenti48. La chiesa sarebbe a sua volta, secondo tale concezione, vergine e madre come Maria, nella carità, nell'integrità di fede e nella pietà49.

Agostino riprendendo il pensiero di Ambrogio, afferma che "la chiesa sia madre di Cristo" e "Maria l'ha preceduta come figura di essa"50, e scrive inoltre: «Di quanto onore sono degne le membra della Chiesa che custodiscono anche nella carne quella prerogativa che essa nel suo insieme custodisce nella fede, imitando la Madre del suo Sposo e Signore! Infatti anche la Chiesa è ad un tempo vergine e madre. Se no fosse vergine, chi sarebbe colei alla cui integrità noi vegliamo? E se non fosse madre, di chi sarebbero i figli ai quali parliamo? Maria partorì corporalmente il capo di questo corpo, la Chiesa partorisce spiritualmente le membra di quel capo. In ambedue la verginità non impedisce la fecondità; in ambedue la fecondità non toglie la verginità»51.

Mentre Maria è la madre fisica di Cristo, la chiesa è la madre spirituale dei cristiani. Madri ambedue e ambedue vergini, in ciò sta l'analogia tra le due grandi figure, Maria e la chiesa.

Nel VI, VII secolo, la Vergine venne lodata, nelle liturgie, con il titolo di modello della chiesa. La madre chiesa, feconda senza l'intervento dell'uomo, porta in se, impresso, un segno indelebile, quello dell'immagine della madre vergine: Maria.

 Uno dei maggiori scrittori del tempo, ritenuto "una delle più eminenti personalità della letteratura universale", fu Isidoro di Siviglia52. Egli presenta Maria come la figura per eccellenza della chiesa e, spesso, nei suoi scritti, tende a identificare la Vergine con la chiesa stessa. Secondo il vescovo di Siviglia, da Maria è nato Cristo, che a sua volta ha fondato la chiesa. Cristo nasce dal ventre immacolato di Maria mentre, i figli di Dio, nascono dalla chiesa e, quindi, Maria precede, nella maternità, la chiesa. Scrive, infatti, Isidoro: «Maria significa la Chiesa la quale, essendo sposata a Cristo, ci ha concepito verginalmente per opera della Spirito Santo e altrettanto verginalmente ci partorisce»53.

Negli scritti sacri, come si è già detto, poco spazio è dedicato alla figura di Maria, nel Nuovo Testamento, poi, essa viene a coincidere con la chiesa, o viene personificata con il nuovo Israele. Soprattutto nel libro dell'Apocalisse, e precisamente nel dodicesimo capitolo, si trova un chiaro riferimento ad una donna, che sottintende però, un'altra importante figura, quella della chiesa. Dal libro dell'Apocalisse: «E un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con una luna sotto i suoi piedi e una corona di dodici stelle sul suo capo: era incinta, e gridava in preda alle doglie e al travaglio del parto» (AP. 12, 1-2).

La donna indicata in questi versi, è la Madre di Cristo e degli uomini, ma è anche la chiesa, che a sua volta è madre dei credenti. Il sole che riveste la donna è Cristo.

Le dodici stelle, rappresentano le virtù, per la Vergine, e gli apostoli, per la chiesa.

La luna sotto i piedi, invece, indica che Maria e la chiesa sono poste sopra ogni cosa mutabile.

La chiesa, è anche la sposa di Cristo, che genera alla grazia e alla gloria, milioni di figli per il regno di Dio, Maria invece, generò il capo e coopera a generare le membra.

Anche chiesa, inoltre, genera le membra attraverso i sacramenti, con l'aiuto di Maria, proclamata da Paolo VI, "Madre della Chiesa".

Hugo Rahner, uno studioso che si è particolarmente interessato a questi versi, spiega che: «Come la luna riceve la sua luce dal sole, così la Chiesa riceve la propria luce da Cristo. La luna che sta sotto i piedi della donna, dice qualcosa sul suo rapporto con la Chiesa. La "donna vestita di sole" non ha soltanto la luna sotto i suoi piedi; il suo capo è adornato da una corona di dodici stelle. Nella simbologia dei numeri che caratterizza l'Apocalisse il numero dodici rimanda al popolo messianico di Dio, il numero simbolico dei segnati»54.

Maria, madre dei Redentore è, la raffigurazione della Chiesa, madre di tutti i redenti.


 

NOTE AL CAPITOLO


 

1 L. Gambero, Maria nel pensiero dei padri della Chiesa, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1991, p.1.

2 K. H. Menke, Incarnato nel seno della Vergine Maria, Maria nella storia di Israele e nella Chiesa, Edizioni San. Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2002, p. 20.

3 L. Gambero, op. cit., p. 19.

4 Ibidem.

5 Ivi, p. 16.

6 Lo gnosticismo, è un'eresia del II, III secolo, che tentò di sostituire alla semplice fede, una conoscenza del divino più elevata e perfetta, accessibile solo a pochi.

7 L. Gambero, op. cit., p.16.

8 E. T. Barbier, La patristica, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, p. 17.

9 L. Gambero, op. cit., p. 41.

10 Ivi, p. 47.

11 Ivi, p. 48.

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 49.

14 Ivi, p. 51.

15 Ibidem.

16 Ivi, p. 122.

17 Ivi, p. 131.

18 Ivi, p. 318.

19 Ivi, p. 321.

20 Ibidem.

21 Ivi, p. 322.

22 Ivi, p. 331.

23 Ivi, p. 337.

24 Ivi, p. 338.

25 K. H. Menke, op. cit. , p. 85.

26 Ibidem.

27 E. T. Barbier, La patristica, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, pp. 26-28.

28 J. N. D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 186.

29 L. Gambero, op. cit. , p. 62.

30 Ibidem.

31 J. N. D. Kelly, op. cit., pp. 179-180.

32 L. Gambero, op. cit, p. 73.

33 Ivi, p. 76.

34 Ivi, p. 77.

35 Ivi, p. 130.

36 Ivi, p. 178.

37 Ivi, pp. 212-213.

38 Ivi, p. 227.

39 Ibidem.

40 Ivi, p. 232.

41 Ivi, pp. 244-245.

42 E. T. Barbier, op. cit., p. 78.

43 L. Gambero, op. cit., p. 120.

44 Ivi, p. 121.

45 Ivi, 220.

46 E. T. Barbier, op. cit., p. 67.

47 L. Gambero. op. cit., p. 247.

48 Ivi, p. 249.

49 Ibidem.

50 Ibidem.

51 Ivi, pp. 249-250.

52 Ivi, p. 423.

53 Ivi, p. 427.

54 K. H. Menke, op. cit, pp. 71-72.

 

 

 

CAPITOLO QUARTO

 

LA MADONNA    E    LA  GRANDE MADRE

 

 

IV. 1. L'archetipo.

 

L'archetipo rappresenta l'immagine primitiva, originale e, pur non avendo una struttura reale, non riferendosi cioè ad un'entità concreta esistente nel tempo e nello spazio, ha una sua struttura interna, un suo ambito simbolico e mitico.

Il campo d'azione dell'archetipo è la psiche, e, la forza che da esso scaturisce, il carattere simbolico dell'immagine che esso evoca, è così intenso da imprimersi nella coscienza. Come scrive Jung, «Si potrebbe definire appropriatamente l'immagine originaria come intuizione che l'istinto ha di se stesso o come auto raffigurazione dell'istinto…»1.

L'archetipo diventa comprensibile alla coscienza, mediante l'acquisizione della valenza simbolica, ovvero diviene visibile per la coscienza attraverso il simbolo, nel quale l'attività dell'inconscio si manifesta capace di attingere la coscienza2.

Sia l'archetipo che i simboli che esso racchiude, sono formati da una componente contenutistica e una dinamica. Tali componenti, a loro volta, agendo sulla psiche, attirano la coscienza che li elabora e li interpreta. Naturalmente, mediante questo processo psichico, la coscienza formula idee, pensieri e concetti, che derivano dal simbolo contenuto dall'archetipo. La componente contenutistica in parte nell’archetipo, secondo Jung, è un "trasformatore di energia"3 che innesca nell'inconscio tutti i meccanismi per comprendere e codificare il simbolo.

L'archetipo era presente sin dai tempi della preistoria, così ad esempio Neumann parla di quello “della via”. Gli uomini preistorici, spinti dalla parte inconscia della loro psiche, arrivavano attraverso vie tortuose, all'interno delle caverne montane per costruirvi santuari e sacrificare gli animali, gesto che serviva a scongiurare ogni pericolo e a preservare l'esistenza dell'uomo. Quest'archetipo si è conservato nel tempo e infatti, in ogni parte della terra, gli uomini si sono spinti, in cammino, per fede, in luoghi remoti, spesso difficili da raggiungere. In stadi di civiltà più avanzati, “l'archetipo della via” ha acquisito nuovi significati e nuovi simboli. L'uomo moderno ha, per lo stesso motivo dell'uomo preistorico, compiuto molto cammino in pellegrinaggi e processioni, in onore di divinità o santi. Nella religione cristiana, ad esempio, è presente la "via Crucis", la via diventa Dio stesso e l'archetipo si ripropone ancora più interiorizzato, sotto forma appunto, di "via interiore", che agisce e prende forma nella coscienza stessa4.

L'archetipo è costituito da una serie illimitata di forme, immagini, simboli e concetti che si combinano tra di loro, si intersecano, si amalgamano e ripropongono, in modo spesso inconscio, il mito primordiale, l'immagine primitiva, l'originale. Oltre ad avere quindi, una "eterna presenza", l'archetipo è costituito da una forte "polivalenza simbolica"5. Le sue manifestazioni sono, inoltre, calate in un contesto storici determinato, dipendono dal popolo, dalla razza, ma anche dall'individuo stesso e dalla sua attività psichica, conscia o inconscia che sia.

Tramite l'esempio dell”archetipo della via", possiamo comprendere quanto sia complicato rintracciarne l'aspetto primitivo, "l'originale", poiché ogni singola figura da esso scaturita, fa parte di un'enorme cerchia simbolica, ricca di elementi positivi e negativi, forze polivalenti, dualità, molteplicità, il tutto intrecciato in un'essenza che potremmo definire paradossale, fatta di termini spesso opposti ma inscindibili.

Cercheremo di basare l'analisi strutturale, sull'archetipo della "Grande Madre", che rientra nella simbologia più vasta e importante dell'archetipo del Femminile6.

 

 

IV. 2. L'Archetipo della Grande Madre.

 

L'archetipo della Grande Madre, e la simbologia ad esso collegata, trova il suo campo specifico nella storia delle religioni, scrive Jung: «Possiede una quantità pressoché infinita di aspetti. Citerò solo alcune delle forme più tipiche: la madre e la nonna personali, la matrigna e la suocera, qualsiasi donna con cui esiste un rapporto (la nutrice o la bambinaia, l'antenata e la Donna Bianca). In un senso più elevato, figurato: la dea, in particolare la madre di Dio, la vergine (come madre ringiovanita, per esempio Demetra e Core), Sophia (come madre-amante, eventualmente anche del tipo Cibele-Attis, o come figlia/madre ringiovanita-amante); la meta dell'anelito di redenzione (paradiso, regno di Dio, Gerusalemme celeste). In senso più lato: la Chiesa, l'università, la città, la patria, il cielo, la terra, il bosco, il mare e l'acqua stagnante, la materia, il mondo sotterraneo e la luna. In senso più stretto: i luoghi di nascita o di procreazione - il campo, il giardino, la roccia, la grotta, l'albero, la fonte, il pozzo profondo, il fonte battesimale, il fiore come ricettacolo (rosa e loto) -; il cerchio magico… In senso ancora più stretto: l'utero, ogni forma cava, il forno, la pentola; diversi animali: la mucca, la lepre e ogni animale soccorrevole in genere»7.

Tutti i simboli collegati alla Grande Madre, si riallacciano alle proprietà del "materno", che contengono in nuce, una duplice natura, positiva e negativa, quella della "madre amorosa" e della "madre terribile". Aggiunge a tal proposito Jung: «La magica autorità del femminile, la saggezza e l'elevatezza spirituale che trascende i limiti dell'intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l'istinto o l'impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l'abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera, angoscia, l'ineluttabile»8.

Neumann spiega inoltre che, nel comprendere e descrivere la struttura dell'archetipo del femminile, e più specificatamente della Grande Madre, bisogna usare il metodo della "psicologia morfologica comparativa"9 che, attraverso lo studio della storia delle religioni, dell'etnologia, dell'archeologia e della preistoria, arriva a interpretare i singoli simboli che permettono la comprensione dell'archetipo e che prendono forma nell'inconscio collettivo, sviluppandosi in motivi mitologici rituali. E' infatti possibile rintracciare figure primordiali archetipiche, in diversi popoli e in tutti i tempi, esse possono nascere spontaneamente e inconsciamente anche nel singolo individuo e in tempi moderni, nella coscienza dell'uomo. Per questo motivo l'archetipo è "eternamente presente" e "universalmente umano"10.

Bisogna a questo punto fare una distinzione tra l'uomo primitivo e quello moderno. Nel primo, il simbolo legato all'archetipo, non solo rafforza la coscienza, ma la forma; nel secondo invece, compensa la sopravvalutazione della coscienza11.

Ritornando all'archetipo del femminile, è importante sottolineare che, l'idea di un'entità superiore, era basata, nell'antichità, su caratteristiche propriamente femminili come la riproduzione, la fertilità e  la protezione nutritiva.

Dall'uomo primitivo, Homo sapiens, e per moltissimo tempo, dal 30000 a.C. al 3000 a.C. circa, l'umanità ha fatto ricorso alla "Dea Unica"12. Dal 3000 a.C. ad oggi, si è imposta nell'immaginario collettivo, la figura del Dio maschio, che ha assorbito in se qualità del tutto femminili, come quella della creazione e del dare la vita, mentre alla dea, è stato dato il ruolo di madre, o sposa o sorella del Dio, o come avviene per la religione cattolica, di Madre vergine. Tutto ciò sembra coincidere con i vari processi economici e socio-politici che, in diversi momenti della storia, hanno investito l'umanità13.

Vittime della vita che cambia, la dea, e di riflesso la donna, hanno perso l'originario potere, poiché la società si è trasformata in "patriarcale" e l'uomo ha acquisito maggior importanza a causa del controllo dei mezzi di produzione, del mestiere delle armi, del diritto di proprietà. Insomma, la cultura patriarcale si è imposta su quella matrilineare e la "Dea preistorica", e con essa la donna, sono divenute inferiori, sottomesse al Dio e all'uomo.

Sembra chiaro dunque, che il concetto di Dio rispecchi la società e l'uomo che, a sua volta, tende a rappresentarlo a sua immagine e somiglianza e a modellarlo in base ai propri bisogni e timori.

Per analizzare l'imponente figura della Grande Madre, bisogna partire, secondo Neumann, dall'archetipo antichissimo dell'Uroboro, l'immagine del serpente circolare che si morde la coda14. Tale archetipo contiene in se, elementi positivi e negativi, la tipica dualità simbolica, e rappresenta il "Grande Cerchio", in cui coesistono elementi femminili e maschili da cui, in un secondo tempo, si estrapolarono la figura del "Grande Padre" e " della "Grande Madre". L'Uroboro rappresenta quindi, l'archetipo primordiale indifferenziato che, manifestatosi nella coscienza, è arrivato, attraverso l'elaborazione degli elementi simbolici in esso contenuti, alla prefigurazione della Grande Madre. Quest'ultima, è costituita da elementi opposti, la madre buone e quella terribile e può agire in modo opposto: positivo, quando offre protezione, nutrimento e calore; negativo, quando si rifiuta, attraverso la privazione, di elargire il suo nutrimento.

Essendo l'archetipo femminile intriso di dualità, bisogna rintracciare due caratteri fondamentali, che Neumann chiama: carattere "elementare" e carattere "trasformatore15.

L'animo ha inoltre, tendenze ermafrodite, nella struttura umana maschile è possibile rintracciare, infatti, sempre a livello inconscio, un esperienza interiore del femminile e, la stessa cosa avviene, nella donna, rispetto all'esperienza maschile. Il carattere femminile è tutto ciò che è contenuto nel Grande Cerchio  della Grande Madre Uroborica, è un'essenza inconscia, contrassegnata dal "contenere16. Anch'esso vive di parti opposte, ma è caratterizzato dal materno, ovvero, da un aspetto stabile, conservatore. Visibilmente può essere espresso attraverso i simboli della luce, della luna o del sole ma, di contro, lo stesso simbolismo porta ad inghiottire ogni aspetto positivo mediante l'opposto, ovvero le tenebre della notte, l'abisso, la caverna. Tutto ciò rappresenta la controparte, la madre terribile, che divora attraverso un doppio simbolismo, la madre buona, che preserva la vita.

Il carattere trasformatore invece, agisce all'opposto, è in contrasto con il principio di conservazione della vita, col legame madre-figlio proprio del carattere elementare del femminile e ha un dinamismo interno in cui riproduce il grande cerchio del serpente Uroborico ma, allo stesso modo, in nome della tensione da esso scaturita, produce altri movimenti, altri simboli e forze, come se il grande cerchio, non solo si trasformasse al suo interno ma, si trasformasse in una grande ruota che gira su se stessa, generando, ma anche divorando, tutto ciò che sta intorno.

Il carattere trasformatore del femminile -spiega Neumann- porta movimento e inquietudine17. In ogni caso, questi due caratteri si compenetrano, formando un'unità fatta a sua volta di opposizioni, di antiche ambivalenze tra bene e male. A differenza dell'uomo, la donna ha una struttura umana in continuo mutamento, infatti, dalla trasformazione della propria struttura nasce il bambino, un'altra creatura.

Lo sviluppo psico-biologico del femminile, comprende un simbolismo molto più acuto di quello maschile, quello del sangue. Attraverso il sangue, la fanciulla diventa donna tramite la mestruazione e, la stessa gravidanza, prende forma da questo simbolismo del sangue. La nascita del feto, a sua volta, conclude il processo di trasformazione della donna in madre, e così, le radici dell'archetipo del femminile, cambiano radicalmente, subendo un lungo processo di trasformazione in cui entra in gioco il carattere elementare mediante l'attribuzione alla madre, delle funzioni di nutrire, proteggere, riscaldare, di fondare insomma, una profonda relazione con il figlio.

Ancora una volta subentra il simbolismo del sangue, che diventa latte, fondamento questo, come spiega Neumann, dei misteri primordiali della trasformazione del cibo18. Oltre al carattere elementare, che rispecchia l'Io inconscio del femminile, compare il carattere trasformatore, che, sempre a livello inconscio, attira l'animo in una rete fatta di stimolo atti ad agire verso l'esterno, ponendosi come un non-Io.

La donna che riesce a comprendere e ad interiorizzare il carattere trasformatore, è dominata dal carattere elementare, si presenta, quindi, come Grande Madre, come nutrice. Quando in uno stadio più avanzato, si abbandona al carattere trasformatore, rimuovendo inconsciamente quello elementare, perde le proprietà matriarcali, proiettandosi verso l'esterno, verso il mondo, verso il campo socio-economico che è proprio dell'uomo, del Padre archetipico che produce, mediante il lavoro, la sicurezza e la sussistenza per i figli. Analizzando tutto ciò, poniamo le basi per la comprensione dell'archetipo della Grande Madre che, nascendo dall'Uroboro primordiale, si sviluppa e accresce basandosi sul carattere elementare e su quello trasformatore. A loro volta i due caratteri sono opposti e complementari, e hanno entrambi una duplice natura, buona e cattiva, positiva e negativa, nutrice e divoratrice, nutrice e divoratrice, amorosa e terribile.

Alla base di tutto ciò, esiste un punto centrale che racchiude ogni dualità, un simbolo, quello del "Vaso". Tale simbologia è presente sin dall'antichità, il corpo della donna è percepito come un vaso, che racchiude al suo interno qualcosa di oscuro, di sconosciuto. Nel corpo-vaso della donna esiste una parte interna, inconscia, e una parte che proietta e racchiude in se l'esterno, il mondo circostante. Anche la simbologia del vaso deriva dall'Uroboro primordiale che, possedeva in se nel grande cerchio, una totalità indifferenziata che era contenuta in una cavità, in un grande vaso.

L'essere più simile al simbolo del grande vaso è la donna, il suo corpo-vaso, permette la penetrazione dell'uomo e l'accoglimento del bambino in grembo, inoltre, in quanto contenitore, ha le proprietà del proteggere e del nutrire, simboli propri del femminile. Questo è il motivo per cui, le forme elementari della vita, avevano carattere matriarcale, poiché, come spiega Neumann, i miti, i riti, le religioni dell'umanità primitiva, basavano i loro principi su una chiara formula

simbolica : donna = corpo = vaso = mondo19.

Da qui nasce la superiorità che per molto tempo ha accompagnato la figura femminile, generando una serie di pratiche religiose volte all'adorazione della Dea Unica, Grande Madre. Nelle civiltà antiche la donna costituiva l'elemento chiave per la sopravvivenza e l'organizzazione sociale della comunità. La preistoria è ricca di elementi che comprovano una profonda religiosità verso la Dea Unica.

Negli scavi archeologici operati in insediamenti del paleolitico superiore euroasiatico20, sono stati rintracciati una serie di elementi che richiamano il concetto di divinità femminile, questi sono costituite principalmente da piccole statuette, fatte di diversi materiali. Queste elaborazioni concettuali e iconografiche, sono state realizzate da uomini primitivi per poter esprimere nella loro religiosità, il concetto del divino. Successivamente, nel periodo compreso tra il 30000 e il 27000 a.C., mediante la tecnica dell'incisione, furono scolpite nella roccia, sulle pareti delle caverne, figure di animali e anche, dato importantissimo, figurazioni di vulve femminili, espressione di una cultura che durerà dall'aurignaciano e per tutto il paleolitico superiore21.

Nei siti francesi di Langerie-Basse e Trou-Magrite, furono rintracciate, nel 1864, le prime due "Veneri Paleolitiche" e, da allora, sono state trovate, 500 figure femminili dell'epoca paleolitica e 30000 del neolitico22. La caratteristica fondamentale che da tali studi archeologici si evince, è che a differenza delle rappresentazioni figurative degli animali, ritratti in modo assolutamente verosimigliante, le statuette femminili appaiono quasi grottesche, con tratti morfologici deformati, di dimensione sproporzionata, soprattutto nei punti tipici femminili ovvero: seni, fianchi, natiche e triangolo pubico23. Le posizioni in cui vengono ritratte sono anch'esse particolari, le braccia molto spesso circondano il ventre gravido, oppure sono intrecciate sui seni, o altre volte non vengono raffigurate24. Allo stesso modo, appaiono molto spesso senza testa, o col volto coperto da una maschera che raffigura un animale, l'uccello solitamente.

Per quanto queste antiche civiltà abbiano lasciato pochissimi segni per rintracciare la spiritualità religiosa da esse praticata, risulta chiaro che le statuette femminili ritrovate negli scavi archeologici, per il fatto che rappresentino donne gravide e dalle parti intime esagerate, facciano riferimento alla funzione procreatrice del femminile, con un chiaro ma complesso simbolismo, che va associato al proprio tempo storico e ad una società naturalistica quale era quella dell'uomo preistorico.

Come scrive Rodriguez: «Le statuette femminili del paleolitico potranno essere "arte" per noi, ma la loro importanza cruciale risiede nella loro qualità di testimoni muti, oltre che simboli centrali, del primo sistema di credenze religiose strutturate che plasmò la psicologia umana. I concetti, i segni e simboli che l'umanità paleolitica collegò alla fertilità, alla generazione  e al femminile, avrebbero posto la base che permise di ideare le prime formulazioni circa l'esistenza di una divinità datrice della vita e protettrice. Nel corso di più di venti millenni, non vi fu altro dio che la Dea paleolitica; e durante vari millenni ancora essa,attraverso le sue invocazioni, ha continuato a dominare l'espressione religiosa delle differenti culture del continente euro-asiatico e del Vicino Oriente»25.

I popoli la cui religiosità dominante era basata sulla Dea unica, hanno comunque lasciato, una portata duratura nel tempo più di qualsiasi altra religione, un segno indelebile nella psiche occidentale.

 

 

IV. 3. La Dea Unica, Grande Dea e Grande Madre.

 

Da un attento studio delle culture preistoriche euro-asiatiche, si evince che, la potenza, la forza procreatrice dell'universo, la sua figura cosmogonica centrale, come spiega Rodriguez «era incarnata da una figura di donna e il suo potere di generare e proteggere, simboleggiato da attributi femminili»26.

L'enorme significato cultuale che accompagna le espressioni di rappresentazione della Grande Madre, costituisce, come scrive lo stesso Neumann «un esempio del dominio del matriarcale, indipendentemente dal fatto che in quest'epoca il gruppo maschile abbia, in una qualsiasi misura, esercitato potere (ad esempio come gruppo di cacciatori) sulle donne»27.

Tra la miriade di sculture femminili pervenuteci dall'epoca primitiva, solo cinque raffigurano figure maschili. Appaiono generalmente semplici, e non sembrano contenere alcun fondamento cultuale. Chiaro, quindi, che nella storia delle religioni il Dio, inteso come divinità maschile, compare in epoca più tarda, successiva a quella in cui domina il concetto di Dea madre. Nelle stesse raffigurazioni antiche domina il tema della Grande Madre dal carattere elementare, con il rispettivo potere generatone e nutritore, inoltre la rappresentazione del ventre fecondo e delle mammelle gonfie in modo esagerato, ripropongono la simbologia del corpo-vaso. Il corpo è, infatti, il centro della rappresentazione, per questo motivo queste statuette sono spesso prive del volto o della testa o di braccia. Queste figure informi, che simboleggiano l'archetipo della Grande Madre, sono rappresentazioni della Dea della fertilità e, allo stesso modo, le molte raffigurazioni di animali, oltre che di umani, attestano che l'archetipo del femminile è considerato la madre di tutti gli esseri viventi28.

L'uomo rimane dunque, completamente fuori dalla grandezza del simbolismo dell'archetipo del femminile. La ragione è rintracciabile, come spiega Neumann, nel concetto di vergine legato alla Grande Madre: «Tale concezione basilare matriarcale non pone in relazione la nascita del bambino con il rapporto sessuale. Ciò appare comprensibile, in particolare in una società primitiva, in cui la vita sessuale è promiscua e inizia prima della maturità sessuale. La continuità di tale vita personale sessuale viene interrotta in modo imprevisto dall'inizio e dalla fine delle mestruazioni, così come dalla gravidanza. Entrambi i fenomeni si svolgono nell'intimo della sfera matriarcale-femminile… Per tale ragione la donna è messa incinta sempre da una potenza extraumana, non personale»29.

La Grande Dea era dunque partenogenica, cioè capace di generare la vita a partire da se stessa, e con ciò acquistò immenso potere all'interno della funzione divina. Molto spesso invece, le dee dell'antichità, venivano rappresentate insieme ad animali, cervidi di solito, poiché avevano una simbologia precisa. Le corna doppie, proprie di questo tipo di animale, simboleggiano potenza e abbondanza, cadono infatti all'inizio della primavera e, come per magia, rinascono ad aprile, crescendo così velocemente da tornare alla loro forma originaria a luglio.

Tutto ciò ha un enorme carico simbolico e metaforico, poiché si riallaccia alla rinascita e ricrescita stagionale del mondo naturale. Questo spiega perché molte dee dell'antichità, come Era30, avevano come animale consacrato al loro culto, la cerva, o anche la stessa Artemide31, che secondo la leggenda si tramutava essa stessa in cerva32. In epoca più tarda, nel neolitico, anche l'orsa acquistò importanza di culto. Venne associata alla Dea Partoriente per il fatto che soleva rintanarsi nelle caverne al principio dell'inverno e, ne usciva, prima della stagione primaverile, insieme ai cuccioli33.

Tutto ciò in epoca primitiva doveva acquistare una enorme valenza simbolica. La caverna, simboleggiava l'utero della dea e il ritorno dal letargo, percepito come periodo di morte accompagnato dalla natura intera, ritorna all'abbondanza grazie alla comparsa dei cuccioli34.

Così come per gli animali, anche l'acqua aveva, per le civiltà primitive, una forte valenza simbolica. Nelle antiche cosmologie è presente, molto frequentemente, l'immaginazione di un universo primigenio completamente ricoperto dall'immensità acquatica. Ancora una volta è la Dea ad avere un posto d'onore. In diverse credenze infatti, come in molti racconti mitici, si parla di figure di donne che, grazie ai loro prodigiosi seni, hanno permesso al mondo di galleggiare sulle acque, o ancora, la Grande Dea viene rappresentata sotto forma di uccello acquatico o di serpente. Allo stesso modo, in India, i fiumi con il loro tortuoso corso, simboleggiano la dea. L'acqua dei fiumi ha, infatti, una duplice e opposta valenza simbolica, può irrigare e fertilizzare le terre, ma anche inondarle e distruggerle35.

Anche nella religione cattolica esistono analogie con il simbolismo dell'acqua. Il sacramento del battesimo, racchiude la metafora di rinascita e rigenerazione, lo stesso fonte battesimale è riconosciuto dai cristiani, come "l'utero di Maria"36. Inoltre, l'ubicazione di molti santuari mariani in prossimità di grotte da cui sgorgano fonti o di corsi d'acqua, richiamano il simbolismo di base della Dea Preistorica. La Chiesa cattolica ha acquisito e trasformato, un antico patrimonio di tradizione popolare di culto della Dea Unica.

Appare chiaro, arrivati a questo punto, che la prima rappresentazione divina affacciatasi all'umanità, ebbe le sembianze di una figura femminile. La Dea Madre onnipotente, rappresentò per moltissimo tempo il principio generatore dell'universo, in grado di controllare il principio della vita ma anche della morte, rendendo possibile la rigenerazione attraverso attributi tipici del femminile, quali: la capacita di generare, accudire e nutrire, non solo la vita umana, ma anche la vita dell'intero pianeta e del cosmo.

Tutto ciò è difficilmente comprensibile ai giorni nostri, poiché noi siamo figli di un tempo che non è ciclico ma lineare. Il tempo ciclico era un tempo arcaico, legato alle stagioni ai raccolti, alle fioriture, all'osservazione del movimento degli astri nella volta notturna, a rituali di morte e rinascita37. Un tempo ormai mitico quello ciclico, dominato dal movimento dinamico, da grandi cerchi uroborici, da serpenti che si ritorcono su se stessi, da alte maree, da corna di cervi che cadono e si rigenerano, da semi, da germogli.

Tutto ciò è ormai irrevocabilmente scomparso ma, è bene non dimenticare, che la religione della Dea Unica, della Grande Madre nutrice, fu universale fino a pochi millenni fa38. L'utero divino dal quale tutto nasce e al quale tutto ritorna, ciclicamente, segue il grande movimento della natura. La Grande Madre, al pari della natura, anzi dominando la natura stessa, fu per molti secoli il fulcro dell'antica religiosità, fino a che un tempo lineare, che prevede un inizio e una fine del mondo ben determinata, in cui il tempo stesso finirà di scorrere per sempre senza possibilità di rigenerazione39, ha scalzato l'antica concezione ciclica.

Le nuove religioni, monoteismo cristiano-giudaico e Islam, hanno imposto al mondo un nuovo concetto di dio, quello del Dio uomo, che ha acquisito su di se il principio femminile del generare nutrire e proteggere, relegando la Grande Madre, e con essa la donna, in un ruolo subordinato.

 

 

IV. 4. La Vergine Maria come Grande Madre.

 

All'interno del culto mariano, si ritrovano molti simboli del culto della "Grande Madre".

Maria è la "dea segreta e splendente" della cristianità occidentale, sorella delle Grandi Dee, novella donna divina dell'ordo matriarcale40.

Maria è, insomma, ciò che rimane, dopo molti secoli di elaborazioni umane, del principio femminile, dell'archetipo della Grande Madre. La sua figura si lega inevitabilmente al mistero del principio generatore della vita, ma acquista significato, nella nostra cultura, ciò che essa ha generato, ciò che è frutto del suo ventre immacolato.

La religione cristiana, subordina la Madre al Figlio, in quanto la sua nascita simboleggia fuoco e luce, è il Figlio l'epicentro della nostra religiosità e, Maria, a differenza delle sue antenate Dee onnipotenti, assume importanza poiché è il tramite terreno della venuta di Cristo. Il Femminile riconosce in se la luce generatrice come figlio proprio, e questo è un principio che ha origini antichissime. Il Figlio divino, la nascita della nuova luce divina, è un motivo ricorrente in molti culti e religioni. Basti pensare ad alcuni dei figli divini che la tradizione tramanda, come: Oro, Osiride, Elios, Dioniso, tutti simboli di luce e fuoco41. Neumann spiega che una delle rappresentazioni più antiche della Dea Madre con il figlio, risale alla metà del III millennio a.C.42. Molte divinità del passato erano famose per la loro qualità di Vergini e Madri, come ad esempio la Vergine Generatrice, antica figura di Grande Madre con la spiga di grano, una spiga aurea, simbolo del figlio luminoso, dell'oro celeste degli astri.

L'aspetto spirituale superiore, sta proprio nel principio maschile rappresentato dal figlio, che dovrebbe essere subordinato al Femminile poiché è da esso che è stato generato, ma, ha acquistato sempre più potere perché la sua è innanzi tutto una "nascita soprannaturale" e, per quanto appartenga alla sfera archétipica della Dea Vergine, che genera nella concezione matriarcale originaria attraverso lo Spirito Santo o il Grande Cerchio Uroborico, prende forza e potere da quest'evento soprannaturale, per diventarne la luce, il fulcro splendente, il principio egli stesso43.

Per concludere possiamo affermare che, il principio del femminile genera, attraverso il contatto col Dio impersonale, con l'Uroboro patriarcale, qualcosa di differente e antitetico rispetto a se, compiendo un miracolo della natura concepisce lo spirito luminoso, esperienza della forza creativa trasformatrice della Grande Madre che, si identificherà a tal punto con la sua creazione, da divenire sposa e figlia allo stesso tempo.


 

NOTE AL CAPITOLO


 

1 E. Neumann, La Grande Madre, Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio,Astrolabio, Roma, 1981, p. 17.

2 Ivi, p. 19.

3 C. G. Jung, Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche, cit. in E. Neumann, op. cit., p. 19.

4 Ivi, p. 20.

5 Ivi, p. 21.

6 Ivi, p. 23.

7 c. G. Jung, L'Archetipo della madre, Bollati Boringhieri,Torino, 1990, p. 29.

8 Ivi, p. 31.

9  E. Neumann, op. cit., p. 24.

10 Ivi, p. 25.

11 Ivi, p. 28.

12 P. Rodriguez, Dio è nato donna, I ruoli sessuali alle origini della rappresentazione divina, Editori Riuniti, Roma, 2000, p. 22.

13 Ibidem.

14 E. Neumann, op. cit., p. 29.

15 Ivi, p. 34.

16 Ivi, p. 35.

17 Ivi, p. 40.

18 Ivi, p. 41.

19 Ivi, p. 52.

20 P. Rodriguez, op. cit., p. 153.

21 Ivi, p. 154.

22 Ivi, p. 155.

23 Ibidem.

24 Ibidem.

25 Ivi, p. 163.

26 Ivi, p. 165.

27 E. Neumann, op. cit., p. 97.

28 Ivi, p. 99.

29 Ivi, p. 269.

30 Giunone per il mondo latino.

31 Diana per i romani.

32 P. Rodriguez, op. cit., p. 168.

33 Ibidem.

34 Ibidem.

35 Ivi, p. 170.

36 Ibidem.

37 G. Conte, Il sonno degli dei, Rizzoli, Milano, 1999, p. 219.

38 P. Rodriguez, op. cit., p. 178.

39 G. Conte, op. cit., p. 21.

40 K. Schreiner, Vergine, Madre, Regine, I volti di Maria nell'universo cristiano, Donzelli Editore, Roma, 1995, p. 177.

41 E. Neumann, op. cit., p. 309.

42 Ibidem

43 Ivi, p. 314.

 

 

 

CONCLUSIONI

 

La prima rappresentazione divina affacciatasi all'umanità, ebbe le sembianze di una figura femminile. La Dea Madre onnipotente, rappresentò il principio generatore dell'universo, in grado di controllare la vita e la morte. La rigenerazione avveniva tramite attributi tipici del femminile: la capacità di generare, accudire e nutrire, non solo la vita umana, ma anche quella dell'intero pianeta e del cosmo.

Nelle civiltà antiche, inoltre, la donna costituiva l'elemento chiave per la sopravvivenza e l'organizzazione sociale della comunità. Da un attento studio delle culture preistoriche euro-asiatiche, si evince che la potenza e la forza procreatrice dell'universo, era incarnata dall'immagine di una donna e, il suo potere di generare e proteggere, era simboleggiato da attributi femminili.

Per moltissimo tempo, infatti, dal 30000 al 3000 a.C., l'umanità ha basato la propria religiosità, sul concetto di "Dea Unica", figura che, secondo gli studi sull'archetipo primordiale, deriva dall'archetipo dell'Uroboro, l'immagine del serpente circolare che si morde la coda. Tale archetipo contiene in se la tipica dualità simbolica, costituita da elementi positivi e negativi, e rappresenta il "Grande Cerchio", in cui coesistono elementi femminili e maschili da cui, in un secondo tempo, si estrapolarono le figure del "Grande Padre" e quella della "Grande Madre".

L'Uroboro rappresenta, quindi, l'archetipo primordiale indifferenziato che, manifestatosi nella coscienza, è arrivato, attraverso l'elaborazione degli elementi simbolici in esso contenuti, alla prefigurazione della Grande Madre. Quest'ultima è costituita da elementi antitetici, la madre buona e quella terribile, e può agire in modo opposto: positivo, quando offre protezione, nutrimento e calore; negativo, quando si rifiuta, attraverso la privazione, di elargire il suo nutrimento.

L'archetipo del femminile è, dunque, intriso di dualità, ed è composto da due caratteri fondamentali che Neumann chiama: carattere "elementare" e carattere "trasformatore". Il primo, tipico del materno, ha un aspetto stabile, conservatore; il secondo, invece, è in contrasto col principio di conservazione della vita, col legame madre-figlio, e ha un dinamismo interno, in cui riproduce l'attività che si svolge nel grande cerchio uroborico.

Nella storia delle religioni, il Dio, inteso come divinità maschile, compare in epoca più tarda, successiva a quella in cui domina il concetto di Grande Madre. Dal 3000 a.C. ad oggi, si è imposta nell'immaginario collettivo, la figura del Dio Maschio, che ha assorbito in se qualità del tutto femminili, come quella del dare la vita, mentre alla dea, è stato dato il ruolo di madre, o sposa o sorella del Dio, o come avviene per la religione cattolica, di Madre vergine.

Tutto ciò coincise con i vari processi economici e socio-politici che, in diversi momenti della storia, hanno investito l'umanità, cambiandone la struttura. Vittime della vita che cambia, la dea, e di riflesso la donna, hanno perso l'originario potere, scalzate dal controllo dei mezzi di produzione operato dagli uomini, dal mestiere delle armi, dal diritto di proprietà. La cultura patriarcale si è imposta su quella matriarcale e, la Dea preistorica, è stata sottomessa al Dio.

Il concetto di Dio rispecchia la società e l'uomo, che tende a rappresentarlo a sua immagine e somiglianza e a modellarlo in base ai propri bisogni e timori. La Vergine Maria sembra essere tutto ciò che resta dell'archetipo del femminile, della Dea onnipotente. Dea segreta e splendente della cristianità occidentale, ha abbandonato tutto ciò che concerne il carattere trasformatore, dandosi a quello elementare e divenendo la madre buona, la generatrice che nutre e protegge, completamente priva dell'antica dualità di bene e male di cui era costituita la Dea donna, priva anche degli elementi antitetici della doppia natura di madre amorosa e terribile.

Nella Vergine Maria converge tutto ciò che è buono e positivo. In ciò sta l'enorme differenza tra questa figura e quella della Dea onnipotente.

Ancora oggi, però, nella religione cristiana, soprattutto nei culti locali, la Vergine Maria riveste un ruolo fondamentale nei fedeli. A Cosenza, la Madonna del Pilerio, rispecchia l'antica immagine della Dea primordiale. Ricca di simbolismo, essa è ritenuta da più di cinque secoli, madre e protettrice unica della città.

Per molto tempo, infatti, dal 1576 ad oggi, il quadro miracoloso della Vergine del Pilerio ha protetto Cosenza dai molti flagelli che, nel corso della storia si sono abbattuti su di essa. I cosentini sono riusciti a preservare la loro esistenza anche quando, nei paesi circostanti, terremoti peste e guerra seminavano morte e rovina.

La Madonna del Pilerio è una Vergine allattante, (Galactotrofousa in greco), ed è raffigurata infatti, intenta nel suo glorioso ruolo di nutrice, mentre stringe tra le braccia colui che tutto porta, e nutre colui che dà cibo a tutti.

Questa profonda devozione verso la Madonna del Pilerio, è la prova che il culto verso le divinità femminili, rimane ancora forte nei credenti. Un culto ben diverso da quello praticato per la Dea Unica, poiché Maria, ha conservato davvero poco dell’antica simbologia del principio del femminile. Anzi la religione cristiana la vede come la “Causa salutis” dell’umanità, come colei che ha riscattato gli uomini dalla triste condizione in cui l’antenata Eva l’aveva relegata. Maria è la luce e la vita, Eva, tenebra e morte; Maria con la sua obbedienza consapevole e volontaria, si donò interamente al suo Dio. Mediante l’obbedienza, dunque, Maria riparò alla rovina del genere umano provocata dalla disobbedienza di Eva.

Maria si propone come la Dea onnipotente amorosa, priva di ogni dualità originaria tra bene e male. Vergine buona e rassicurante, mantiene comunque il suo ruolo di protettrice e nutrice, proprio come la vergine del Pilerio preserva da secoli l’esistenza del suo popolo.

L'archetipo della Grande Madre, ha perso molte delle sue caratteristiche originarie, ma molte ne ha conservate. L'immagine di un principio femminile generatore, nutritore e preservatore della vita, qual è appunto, ancor oggi, la Vergine del Pilerio per la città di Cosenza.

                      

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                                                   Università della Calabria   Giugno 2002      

 

                                                         Riccardo Brunetti