CAPITOLO  SECONDO

                                                     Le  Icone

 

II. 1. Il culto delle immagini sacre.

Sin dai tempi antichi, le immagini sacre hanno svolto un ruolo molto importante nell'immaginario collettivo, destando nei fedeli sentimenti così forti da creare un inscindibile legame tra la popolazione e l'immagine, ritenuta la rappresentazione di Dio e dei santi.

L'affermarsi di tale culto, avvenne in modo autonomo rispetto alle gerarchie ecclesiastiche. Ciò è stato motivo di preoccupazione dei teologi che, in diversi momenti della storia, cercarono di vincolare la circolazione delle immagini con una serie di provvedimenti, per poter non solo svolgere un ferreo controllo su di esse ma, per ridimensionare il potere della spiritualità ad esse legata.

Nacquero dunque, una serie di controversie, le più importanti riguardavano l'esigenza di rintracciare la spiritualità autentica legata alle icone, poiché esse sembrano avere origini sacre, infatti, secondo la tradizione, il primo a dipingere l'immagine della Madre di Dio con in braccio suo Figlio, fu l'evangelista Luca. Sembra, inoltre, che la Madonna abbia posato dal vivo insieme al Signore Gesù e, per questo motivo, quest'opera e tutte quelle che nacquero dal veneratissimo prototipo di S. Luca, furono conosciute ed adorate in tutto il mondo.

Bisanzio, nell'VIII e IX secolo, com'è noto, dovette subire una tremenda guerra contro le immagini, conosciuta sotto il nome di iconoclastia.

A due riprese, dal 726 al 787, e dall'814 all'842, per oltre un secolo, gli imperatori dichiararono guerra alle immagini, con il preciso intento di distruggere il ricco patrimonio ecclesiastico di quei luoghi1.

Ad ingaggiare la terribile disfatta fu Leone III Isaurico, proseguirono poi l'iconoclastia i successori Costantino V e Leone IV. Dopo la morte di quest'ultimo, nel VII Concilio ecumenico di Nicea, avvenuto nel 787, Irene, vedova di Leone IV e reggente per il figlio Costantino, proclamò legittimo il culto e la venerazione delle immagini sacre2.

Un'altra triste parentesi, però, si affacciò nella storia della chiesa bizantina. Leone V l'Armeno, nell'814, riprese la lotta iconoclasta, che i successori, Michele II e Teofilo proseguirono. Ancora una volta, la vedova di quest'ultimo, reggente in nome del figlio di appena tre anni, proclamò l'"Ortodossia"3, e pose fine una volta per tutte alla sanguinosa lotta.

In questi anni molte icone vennero distrutte, e non solo, la lotta iconoclasta si abbatté con forza su reliquie, affreschi e soprattutto su coloro che, disperatamente, cercarono di risparmiare un tale scempio. Molte icone furono dapprima nascoste, poi trasferite in Occidente e, i monaci, che avevano fatto dei monasteri roccaforti per difendere l'alto patrimonio artistico e religioso bizantino, subirono ogni sorta di martirio.

La Chiesa, dunque, difese con tutte le sue forze il culto e la venerazione delle immagini sacre. Ciò va analizzato non solo da un punto di vista devozionale, ma anche dogmatico, poiché gli imperatori, conducendo una spietata lotta contro le immagini e il culto ad esse collegato, cercavano di affermare teorie monofisite e nestoriane, precedentemente condannate dai Concili ecumenici di Efeso e Calcedonia4.

Nel 1054, il legato pontificio a Costantinopoli proclamò lo scisma delle Chiese, ovvero la divisione tra Chiesa d'oriente e Chiesa d'Occidente, i greci furono rimproverati di aver posto sulla croce l'immagine di un uomo mortale, rappresentando appunto Dio morto5. Allo stesso modo, quando nel 1438, anno del Concilio ecumenico, i greci vennero in Italia, dichiararono di non riuscire a pregare innanzi alle immagini occidentali, poiché esse avevano forme molto diverse dalle loro6.

Da ciò risulta chiaro che una comunità di fede, identifica se stessa o viene etichettata da altre comunità, anche attraverso il culto delle immagini sacre.

Altre controversie ancora si ebbero, poco dopo, durante il periodo delle Riforma. I calvinisti, com'è noto, abolirono l'uso delle immagini e i luterani le epurarono. Ciò che importava fondamentalmente, nell'uso ecclesiastico delle immagini, era comprendere e definire quale fosse la tradizione ad esse legata e, recuperare la parte incontaminata di quest'ultima, su cui si basa l'identità di una religione.

La religione cattolica, d'altra parte, mirò sempre a profanare le immagini dei protestanti, per poter distruggere il potere delle istituzioni che esse rappresentavano. Infatti all'epoca della Controriforma nuove immagini vennero poste a sostituire le preesistenti, ciò fu fatto per affermare il dominio della religione cattolica sulle altre. In tale clima polemico sull'uso delle immagini, proprio al tempo della Controriforma, prese piede il culto della figura di Maria7, un culto molto antico che fu portato in auge per dimostrare l'importanza della tradizione in ambito religioso. Ma, non è corretto, considerare le immagini solo da un punto di vista religioso, perché da sempre hanno coinvolto l'intera società che in esse si è identificata.

Il culto delle immagini con il tempo si è affermato, ha costituito una propria tradizione ed è entrato a far parte di una dottrina religiosa istituzionalmente riconosciuta. Tutto ciò è avvenuto perché le immagini hanno origine antichissima e, da sempre, hanno rappresentato per i fedeli che le veneravano, un conforto e un appoggio nei periodi più difficili, grazie alla capacità di emettere responsi e operare miracoli8.Le icone, inoltre, rappresentano un culto soprattutto di carattere locale, come avviene tutt'oggi nella venerazione, in città, paesi e contrade, di un santo particolare. Da tutto ciò si evince inoltre, che non sempre tale culto rientra nel profilo della chiesa Universale.

D’importanza fondamentale risultava, in oltre, la percezione delle immagini come autentiche. Interessante, a questo proposito, il culto di Maria Nicopeia, un'icona greco-bizantina presa dai veneziani nel 1203 a Bisanzio, e portata in patria come bottino di guerra. Tale icona fu considerata un originale d’epoca apostolica, dipinta da S. Luca in cui la Madonna avrebbe posato dal vivo. L'originale, in tal modo, come scrive Belting, comproverebbe la tradizione: «Nel caso dell'immagine di Cristo, le leggende sulla sua genesi riconoscevano o l'origine soprannaturale di un'immagine caduta dal cielo o la riproduzione meccanica del volto del modello dal vivo. (…) Accanto a quella d'origine, esiste anche una leggenda della visione, in questo caso, l'osservatore riconosce in un'immagine i personaggi apparsigli in sogno. (…) Leggende di culto di una terza specie, quelle dei miracoli, insistono sulla presenza sovratemporale del santo che, con la sua effigie, opera miracoli anche dopo la morte e dunque continua a vivere. Mediante le immagini, anch'esse contribuiscono a fornire quella doppia dimostrazione di antichità e durata vitale, storia e atemporalità, che è tanto rilevante per ogni religione»9.

Risulta difficile, dunque, avere una chiara consapevolezza dell'importanza delle immagini nella cultura europea. L'immagine antica, nella cultura cristiana, era rappresentata dalla scrittura, infatti, la stessa religione Cristiana è una religione della scrittura. Rispetto all'immagine, bisognava ricollegare, in passato, al concetto dell'indivisibile unità di Dio invisibile, quello dell'uomo visibile.

I cristiani agirono tra le immagini degli dèi politeisti della cultura pagana e il divieto operato dagli ebrei poiché, nella cultura giudaica, Jahweh era reso presente in modo visibile, solo attraverso la parola scritta. L'icona sacra del monoteismo giudaico era la scrittura e il Dio universale era invisibile. Nonostante vi furono diverse dispute con i cristiani di origine ebraica, il cristianesimo orientale delle origini, tramite l'acquisizione delle immagini, riuscì ad imporsi nella cultura greco-romana.

Ulteriore ostacolo all'estendersi del culto delle immagini, risultò essere il potere imperiale che, al di la delle molteplici religioni, rappresentava l'unità del regno. L'imperatore era, a quell'epoca, l'immagine del Dio vivente e, l'unico culto pubblico delle immagini permesso fu, per lungo tempo nell'impero romano-cristiano, l'effige dell'imperatore.

Alla fine del VII secolo l'imperatore perse la sua supremazia su "Cristo", diventando, come spiega Belting, "suo servo"10. Poco prima dell'inizio del medioevo, l'unità del popolo romano fu cercata non più nella figura dell'imperatore ma nell'autorità religiosa. L'imperatore stesso esercitò la sua sovranità nel nome di Dio, di un Dio unico soggetto ad immagini che soppiantò definitivamente l'immagine universale dell'imperatore unico.

Nel 1453 i turchi Ottomani assediarono Bisanzio. Lo stato bizantino fu distrutto ma non la sua chiesa, ricca di un vasto patrimonio teologico, spirituale, artistico e iconografico. La chiesa bizantina sopravvisse e con lei il culto amorevole verso la Madre di Dio. Maria uscì vincitrice da ogni controversia, anche dalla sanguinosa lotta iconoclasta. L'icona detta Brephocratousa, che ha il significato di Madre con Bambino, diviene l'immagine più rappresentata. Grande importanza continuarono ad avere le icone ritenute originali di S. Luca, come l'Odigitria e altre icone taumaturgiche.

Da qui nacquero alcuni dei tipi essenziali dell'iconografia mariana.

 

II. 2. Nascita e sviluppo della venerazione di Maria attraverso le     immagini.              

Le icone sembrano acquistare, in epoca recente in Occidente, grande importanza, non solo dal punto di vista estetico, artistico o teologico, ma anche rispetto alla visione delle stesse come oggetto di culto. In Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia, vanno aumentando le collezioni pubbliche e private e, nei musei Vaticani, sono stati predisposti dei reparti specifici per le icone11.

La venerazione delle icone di Maria sembra essere nata in Oriente, e man mano sviluppatasi nella chiesa Occidentale, ha fatto si che la Madre di Dio fosse, non solo protagonista della cultura religiosa dei fedeli di tutte le chiese, ma anche il tramite verso Cristo e la Trinità12.

Sicuramente il culto della Vergine Maria, si affermò con il consolidarsi del cristianesimo. La Madonna diventa parte integrante del mistero di Cristo e, infatti, nel IV secolo, nascono le prime feste mariane che, ripercorrono i momenti salienti della sua vita terrena come: il Natale, l'Annunciazione, Maria ai piedi della croce, la Concezione, la Natività, la Presentazione al tempio, la Dormizione13. Furono edificate inoltre molte chiese in suo onore e molte città dedicarono a lei i primi templi.

Sempre nel IV secolo, si è andata affermando la venerazione delle immagini Mariane, ostacolato inizialmente dalla cultura giudaica poiché ritenuto un retaggio pagano.

Diversa fu invece la concezione cristiana delle icone, San Basilio ad esempio, affermava: «La pittura deve essere per l'occhio ciò che la parola è per l'orecchio: istruzione, esortazione, incoraggiamento»; mentre San Gregorio a sua volta la definì: «Un libro a colori»14.

Ben presto l'arte sacra si manifestò in ogni sua espressione, i muri delle basiliche furono riccamente affrescate di immagini e si produssero un gran numero di mosaici e di icone su legno, o più raramente su altri materiali. Le icone acquistarono sempre più potere protettivo e, ad esse ricorrevano i poveri e i ricchi, singoli individui e villaggi, città e nazioni
 

II. 3. Il culto di Maria in Oriente.

La Palestina, per la chiesa primitiva, è la Terra Santa, dove il Verbo si è incarnato e vi ha trascorso la vita terrena insieme con la Madre e gli apostoli. Le prime comunità cristiane, furono inizialmente allontanate da Gerusalemme, ma grazie al contributo dell'imperatore Costantino e di sua madre Elena, fu segnato un nuovo e vigoroso inizio per la chiesa palestinese. Nel IV secolo, infatti, Costantino ordinò la costruzione di maestose chiese a Gerusalemme, a Betlemme, ad Hebron e sul Monte degli Ulivi15. Lo stesso avvenne nel V secolo con il contributo dell'imperatrice Eudocia, nel VI secolo ad opera di Giustiniano e, nel VII secolo, dopo l'invasione persiana, ad opera del patriarca Modesto16.

Nonostante lo sforzo, operato per molti secoli dagli imperatori che si sono succeduti in Terra Santa, la Palestina subirà la terribile invasione Araba che pose fine alla sua storia gloriosa, fino alla riconquista cristiana, avvenuta dall'XI al XIII secolo mediante le crociate.

In Palestina ebbe un ruolo preponderante, il culto della Madre di Dio, i luoghi Santi più importanti, furono appunto, quelli dedicati ai diversi momenti della vita della Vergine Maria. Numerose furono le feste celebrate in suo onore che acquistarono, col passare del tempo, carattere dapprima locale, poi universale. Per ciò che riguarda invece le icone, ne furono prodotte in grande quantità, e raffiguravano Cristo, Maria, i santi e gli apostoli. La tradizione racconta inoltre, che le prime icone mariane siano state dipinte proprio a Gerusalemme dall'apostolo Luca. Sono le importanti icone che giunsero, in un secondo tempo, a Costantinopoli, sotto il nome di Odigitria e Aghiosoritissa17, immagini della Madonna con il Bambino in braccio e senza.

Ancora la tradizione racconta che nella città costiera di Lidda, famosa per la guarigione di Enea ad opera di Pietro (At 9, 32-35), gli apostoli edificarono una chiesa in onore della Vergine Maria, e le chiesero di essere presente per la "dedicazione". La Vergine non fu presente all'evento ma in cambio, i fedeli, ricevettero un magnifico dono. Su una parete della chiesa apparve un dipinto della Madonna, a cui fu dato il nome di Achiropita18, che significa non fatta da mano umana.

Sembra invece che un'altra leggenda racconti che in Siria, fu edificata la prima chiesa, dedicata alla Vergine. Essa sembra essere del IV secolo poiché, tra le rovine della chiesa di Santa Maria di Hawa, è stata rinvenuta un'iscrizione scolpita che ne attesta l'epoca19. La Siria apparteneva, nei tempi antichi, alla Diocesi d'Oriente con capitale Antiochia. La fondazione del Patriarcato di Antiochia, viene attribuita a san Pietro. Qui il culto e la venerazione di Maria si è espresso in molte forme, grazie anche al contributo di numerosi teologi molti dei quali approfondirono gli studi di mariologia. Furono prodotte inoltre, in questa terra, un gran numero di icone che, venerate dai molti fedeli, venivano poste in ogni luogo della città, nelle chiese come nelle botteghe, nei monasteri e in ogni locale pubblico. Il più importante santuario della Siria si trova a Saidnaya, un villaggio vicino a Damasco. La fondatrice sembra sia stata l'imperatrice Eudocia, nel secolo VI20. Tale santuario fu molto conosciuto in epoca medievale infatti, a quel tempo,, diventò una tappa obbligata per quanti si recavano in Terra Santa.

Ma la città, che dall'inizio fu consacrata alla Vergine Madre di Dio, è Costantinopoli. L'imperatore Costantino, dopo essersi convertito, abbandonò la sede di Roma, per fondare una nuova capitale a Bisanzio. Da quel momento l'antica città fu ribattezzata col nome di Costantinopoli e conosciuta in tutto il mondo come la "nuova Roma"21.Tutto ciò accadde nell'anno 330 e, negli anni a seguire, i successori di Costantino proseguirono l'opera da lui iniziata, e raccolsero un gran numero di icone e reliquie di Cristo della Vergine e dei santi a cui corrispose la costruzione di un altrettanto innumerevole numero di chiese, oratori e monasteri.

Costantinopoli divenne importante quanto la Terra Santa, una seconda Gerusalemme e, a causa delle conquiste persiane e arabe che resero pericoloso l'ingresso in Sirio e in Palestina, la città divenne la principale meta di pellegrinaggio verso la fine del IV secolo. Si contavano, nella città di Costantinopoli, ben 485 chiese22, la maggior parte dedicate alla Madre di Dio.

Nel VII secolo, Teodoro Sincello, durante la festa della deposizione, pronunciò quanto segue: «Questa città regale, protetta da Dio, che si dovrebbe chiamare a giusto titolo, la città della Madre di Dio, è abbellita da un numero di templi quasi senza limite, la maggior parte dei quali è consacrata alla Madre di Dio. Certo, vi sono altre chiese nella città, ma noi non troviamo un solo luogo pubblico, una sola casa principesca, un solo sacro monastero, un solo domicilio di dignitari in cui non vi sia un santuario o un oratorio sacro alla Madre di Dio»23.

Nella città bizantina, il culto della Vergine accrebbe grazie alla sua fama di operare miracoli. E' il caso del santuario dell'Odigitria, fatto costruire probabilmente dall'imperatrice Pulcheria, che affidò ad una comunità di monaci un'icona della Madonna proveniente da Gerusalemme e dipinta da S. Luca24. In questa comunità di monaci si recavano numerosi pellegrini, molti dei quali ciechi, poiché la Madonna era ritenuta miracolosa e in grado di guarire un tale male. Proprio in questo luogo, detto "delle Guide", poiché i monaci guidavano appunto coloro che non vedevano fino al ritratto della Vergine, la Madonna assunse il nome di Odigitria, che significa Condottiera25. Per molto tempo questo luogo fu meta di pellegrini ma subì in un secondo tempo, dapprima l'occupazione dei Latini, poi la conquista turca che lo distrusse nel 147626.

Il più grande santuario Costantinopolitano dedicato alla Vergine è però quello delle Blacherne. Fu costruito intorno al 451 ad opera di Pulcherina, sotto il regno di Marciano27. Nel tempo il santuario accrebbe, furono costruiti due absidi, fu restaurato e arricchito di oro e di argento. Tutto ciò avvenne dal VI secolo, al tempo di Giustiniano, fino al 1034, con Romano III Argiro. Durante i lavori fu ritrovato un ritratto della Vergine con il Bambino in braccio, nascosta probabilmente da Costantino V. Sembra che la chiesa sia stata accidentalmente distrutta il 29 febbraio 1434. La Vergine denominata Blachernitissa, che significa "in atteggiamento Orante", è un tipo iconografico mariano molto riprodotto e conosciuto.

Andrebbero ricordati ancora altri importanti santuari bizantini, come quello mariano di Chalcoprateia, trasformato in chiesa nel IV secolo e restaurato nel VI sotto il regno di Giustiniano II28. Durante tale restauro, fu costruita una cappella laterale in cui porre la miracolosa reliquia della Cintura della Vergine. Questa fu messa in una Sacra Urna, chiamata "aghia soros", da cui deriva il termine Aghiosoritissa, che indica l'icona mariana attribuita a S. Luca, custodita nella medesima cappella29.

Nei suoi mille anni di storia imperiale, la città bizantina di Costantinopoli, si è affidata alle miracolose reliquie della Vergine provenienti da Gerusalemme, come alle icone, ritenute originali dipinti da S. Luca. Costantinopoli, inoltre, subì oltre trenta assedi ad opera di persiani, avari, arabi, ma l'icona della Vergine, molto spesso portata tra i combattenti come un palladio, riuscì miracolosamente a far scampare ogni temuto pericolo. Da tutto ciò risulta chiaro che la Madre di Dio, fu una valorosa condottiera e protettrice della città, poiché numerosi furono i suoi interventi in favore di Costantinopoli che sempre le attribuì l'indiscusso ruolo di Patrona.

 

II. 4. Il ritratto fisico della Madre di Dio.

 Da duemila anni, l'arte, nelle sue molteplici espressioni, ha raffigurato la Beata Vergine Maria, e si può asserire, che Essa è la "creatura umana" 30 più raffigurata in tutti i tempi. La ritroviamo infatti, rappresentata da sola o con il Bambino in braccio, oppure con i santi o circondata dal coro degli angeli.

E' nel II secolo che comincia a divulgarsi, negli "scritti apocrifi", la figura fisica di Maria. Certo il ritratto della Vergine fatto dai primi cristiani, è quello religioso e morale anche se in tanti, soprattutto poeti antichi della Siria, non indugiarono nell'esaltarne anche la bellezza fisica.

Un primo ritratto di Maria, ci proviene da sant'Andrea da Creta, che riprende la descrizione dell'icona di S. Luca: «Ma anche il giudeo Giuseppe racconta che il Signore era stato visto nella stessa maniera: con sopracciglia congiunte, con occhi belli, con viso lungo, alquanto curvo, di buona statura, come certo appariva dimorando insieme con gli uomini; similmente l'aspetto della Madre di Dio, come oggi si vede (dall'immagine) che taluni chiamano romana»31. Un'altra significativa descrizione venne fatta da un autore greco dell'XI secolo, Giorgio Cedreno: «Maria era di piccola statura, scura di pelle, con i capelli biondi, con occhi chiari e piccoli, con sopracciglia marcate, naso piccolo, mani e dita affusolate»32. Anche un sacerdote del convento di Callistros a Costantinopoli, dell'VIII, IX secolo, Epifanio, dopo aver dato una magnifica immagine dell'aspetto interiore di Maria, si sofferma sulla descrizione fisica: «Era di alta statura, benché alcuni dicano che superasse solo i limiti della media. Il colorito, leggermente indorato dal sole della patria, ritraeva il colore del frumento. Biondi i capelli, vivaci gli occhi, un po' olivastra la pupilla. Le sovracciglia arcuate e nere, il naso un po' allungato, le labbra rosse e colme di soavità nel parlare. Il viso, né tondeggiante né aguzzo, ma elegantemente ovale; le mani e le dita affusolate…»33.

Le descrizioni sembrano coincidere con il famoso ritratto fatto da S. Luca. Secondo un'antica tradizione, tramandata dalla chiesa d'oriente, tale ritratto, viene ritenuto l'immagine più veritiera della figura di Maria poiché, secondo il racconto, la Vergine avrebbe posato dal vivo per l'evangelista. Altre tradizioni invece, parlano di tre ritratti eseguiti da S. Luca, due raffiguranti la Vergine con il Bambini in braccio e uno che la ritrae da sola. Da qui, sarebbero poi sorte, una serie innumerevole di copie sparse in tutto il mondo.

Molte teorie, sia storiche che leggendarie, sono state affermate rispetto alla fondatezza, o meno, dell'originalità del quadro dipinto da S.Luca. Qualunque sia la verità, l'icona, eseguita a Gerusalemme, fu mandata nel V secolo a Costantinopoli dove fu venerata come autentica poiché, l'abbigliamento con cui era ritratta la Vergine, era la riproduzione esatta delle reliquie conservate nei santuari di Blacherne e di Chalcoprateia34.

L'abbigliamento della Vergine, costituito dalla tunica, dal mantello e dalla cintura, è quello tipico siro-palestinese35. La tunica, di colore solitamente azzurro, era lunga fino alle caviglie e formata da tre fessure, una per la testa e le altre due per le braccia e veniva stretta sui fianchi da una cintura fatta di stoffa. Sopra ad essa veniva posta la sopraveste, o mantello, detto "maphorion", che aveva solitamente un colore scuro ed era di forma quadrata.

Per ciò che riguarda il colore degli abiti indossati dalla Vergine, col tempo si è individuata una precisa simbologia. Padre P. Florenskij, che ha condotto degli approfonditi studi scrive rispetto a questo argomento: «…La Santissima Vergine Maria viene doppiamente onorata, in sé come Semprevergine e in rapporto a Cristo come Deipara, e nelle sue apparizioni porta manti e vesti di colori differenti. Quando si mostra come Semprevergine, come la prima monaca, come protettrice della Verginità, cioè come Vergine per essenza, porta un manto azzurro o celeste. Invece, quando appare come Deipara, cioè come Madre per essenza, il suo manto è purpureo (il colore della dignità regale e della spiritualità), oppure rosso (il colore della sofferenza e dell'amore infuocato)…»36.

 

 II. 5. Modelli iconografici della Madre di Dio.

 La lunga lotta iconoclasta, vietò agli artisti di riprodurre immagini della Madonna, a meno che non fossero approvate dalla chiesa. Così essi dovettero riprodurre fedelmente, i pochi modelli già esistenti e venerati da sempre. Le immagini sacre della Madonna furono quindi fissate in pochi modelli, e, la Vergine, venne raffigurata in diversi atteggiamenti, a cui, corrispondono degli "epiteti specifici", ovvero dei precisi nomi sacramentali.

Sono sette in tutto i principali tipi iconografici: la Brephocratousa, l'Odigitria, l'Eleousa, L'Aghiosoritissa, la Blachernitissa, la Basilissa e la Galactotrophousa37.

 La Brephocratousa, racchiude in se un'infinità di contenuti, il suo significato è generico, infatti, il termine in greco significa "Colei che porta il Bambino", ovvero, "Madre con Bambino"38.

Maria è raffigurata con il figlio tra le braccia, su un fondo oro che racchiude in sé il significato della Trinità nella gloria celeste.

I lineamenti del volto del Bambino sono quelli di un adulto, poiché egli è il Verbo di Dio incarnato e rappresenta Gesù Cristo, l'Uno della Trinità39. Inoltre è raffigurato con una pergamena nella mano sinistra che, sta ad indicare che Egli è il Maestro e, nel gesto benedicente della mano destra, è racchiuso il significato di Santo e di Tuttosanto, termini che in greco si traducono "Panaghion"40.

Maria, in quanto Madre del "Tuttosanto" è designata dall'appellativo "Theotokos" o "Deipara", che significano "Madre di Dio", è anche l'"Aeiparthenos", ovvero la Semprevergine, simboleggiata dal velo che spesso copre i capelli, detto in greco "maphorion", e dalle stelle che si trovano sulle spalle e la fronte. Maria è detta ancora "Panaghia", che significa Tuttasanta e l'aureola che orna il suo capo e quello del Bambino è il principale simbolo della santità.

Oltre a questi significati specifici la Brephocratousa racchiude in se anche un significato cosmico: l'unità tra la madre e il Bambino simboleggia, infatti, quella tra il Creatore e la sua creatura e, la Madonna stessa risulta essere l'immagine della chiesa che, come Lei, benché vergine, genera i suoi figli41.

 L'Odighitria, in greco, significa "Condottiera", "Colei che mostra la via" e il nome stesso deriva dal convento degli Odigi, dove era conservato il ritratto di Maria ritenuto un originale di S. Luca.

La Vergine è ritratta in questa icona in posizione frontale, con lo sguardo fisso rivolto a chi la osserva42, è raffigurata generalmente a mezzo busto ma esistono delle copie dove è rappresentata per intero. Sul braccio sinistro porta il Bambino, anch'egli, come la madre, in posizione frontale e reca nella mano sinistra la pergamena mentre la destra è alzata in simbolo di benedizione.

Il Bambino è, come avviene nella maggior parte delle raffigurazioni fissate nei tipi iconografici che andremo ad analizzare, insieme anche adulto, nei lineamenti e nell'intensità dello sguardo.

Gli abiti con cui l'Odighitria è ritratta, differiscono nei colori dalla Brephocratousa, la tunica è verde, il maphorion invece, di colore rosso e, i capelli, sono completamente coperti da una cuffia aderente.

Sembra che il prototipo dell'Odighitria sia andato perduto, ma esistono numerose copie, anche molto antiche, soprattutto in Italia, giunte dalla Grecia e da Costantinopoli.

 L'Eleousa, detta anche "Glykophiloùsa", è "la Vergine della tenerezza"43: La Madonna in questa icona si discosta, nell'atteggiamento, sia dalla Brephocratousa che dall'Odighitria, in cui la Vergine aveva un'espressione distaccata profusa di regalità e serietà.

L'Eleousa ha un atteggiamento nel volto, d'affetto misto a tenerezza. Il Bambino che le sta in braccio porge amorevolmente le guance al volto della Madre e sembra cingerla in un affettuoso abbraccio. Anche L'Eleousa sembra derivare dal prototipo di S. Luca anche se, la più antica rappresentazione, risulta essere fatta interamente in avorio, ed essere di origine Egiziana dell'VIII secolo44. Infatti tale icona è presente a Costantinopoli solo dall'XI, XII secolo.

Si possiedono tutt'oggi molte riproduzioni di questo tipo iconografico, nelle forme più svariate, dai mosaici agli affreschi, alle monete e, numerose sono inoltre le varianti che vedono il Bambino ritratto in diverse posizioni45.

 L'Aghiosoritissa è la Madonna venerata all'"Aghia Soros", ovvero nella chiesa di Costantinopoli dove era custodita la reliquia della Sacra Cintura. Può trovarsi anche sotto la denominazione di "Chalcopratissa", poiché il santuario di Chalcoprateia si trovava nel quartiere del mercato del rame, detto in greco appunto "chalca"46.

Il prototipo sembra essere l'originale fatto da S. Luca, custodito a Costantinopoli dal V secolo e proveniente da Gerusalemme47. Durante la sanguinosa lotta iconoclasta, il prototipo fu perso, ma furono fatte molte riproduzioni che, dopo essere state custodite per molto tempo a Costantinopoli, furono portate in un secondo tempo in Italia, soprattutto a Roma, in Grecia, Germania e Russia48.

L'Aghiosoritissa è raffigurata senza il Bambino, solitamente a mezzo busto, e appartiene al "tipo" dell'"Orante". Il suo sguardo è rivolto all'osservatore anche se non è diretto come avviene nell'Odighitria o nella Brephocratousa, e, le mani, sono levate in cielo in atto di preghiera.

 La Blachernitissa, come il precedente tipo iconografico, è ritratta in atteggiamento orante. Veniva venerata nel santuario costantinopolitano di Blacherne, da qui appunto il suo nome, ed era considerata la Patrona della città, più volte invocata in tempo di assedio nemico, perché la proteggesse per mezzo dei suoi prodigiosi miracoli.

Il santuario di Blacherne andò bruciato, nel 1433, in un rovinoso incendio e l'icona, ritenuta il prototipo originale, si distrusse. Nonostante ciò molte furono le riproduzioni su monete, affreschi, stoffe e naturalmente icone49.

Esistono due varianti della Blachernitissa, una che vede la Vergine raffigurata con il Bambino ritratto in posizione frontale, l'alta da sola. Ambedue le varianti possono essere ritratte a mezzo busto o per intero.

 La Basilissa è un tipo iconografico affermatosi soprattutto dopo la lotta iconoclasta, anche se, nell'arte romana catacombale, era presente la figura trionfale della Vergine. Essa è raffigurata infatti, su di un trono, nelle vesti della Basilissa, ovvero di "Imperatrice", "Regina". Si trova raffigurata generalmente, seduta in trono con il Bambino tra le braccia e circondata dal coro degli angeli e dei santi.

Il prototipo sembra essere di origine bizantina poiché, questo tipo iconografico, è presente in tutte le zone dove l'arte bizantina è approdata, lo ritroviamo infatti, in Siria, Cappadocia, Egitto, Cartagine, Italia, Russia, Romania e Bulgaria50.

Solitamente all'icona della Basilissa viene riservato, nelle chiese, un posto d'onore, poiché essa è venerata come la "Regina degli angeli e dei santi", "Imperatrice del creato", "Gioia di Dio", "La più pura di tutte le donne" ed infine poiché la Basilissa è considerata "la bella e dolce insieme"51,tale icona viene posta , infatti, nel catino absidale centrale delle chiese.

 La Galactotrofousa è la "Madonna allattante". Il tipo iconografico è quello classico, che vede la Vergine a mezzo busto, ma, può trovarsi anche ritratta seduta o in piedi, con il Bambino retto col braccio sinistro ma con la mano destra, a differenza dei precedenti modelli iconografici, gli porge il seno. Nel volto sia della Madre che del Figlio, è impressa grande regalità ma anche distacco.

Le più antiche rappresentazioni della Galactotrofousa, risalenti al VI secolo, si trovano in Egitto e sembra siano di retaggio pagano, poiché imitano modelli egiziani come la Dea Isis, anch'essa allattante52. Dall'Egitto sembrano poi essere passate in Siria, nei Balcani e in Grecia, mentre poco frequentemente si trovano a Bisanzio e nel mondo slavo.

Un poeta siculo del IX secolo, parla nei suoi versi dello splendore della Vergine che allatta il Bambino. Egli è conosciuto con il nome di Giuseppe l'Innografo :«Tu porti colui che tutto porta e nutri colui che dà cibo a tutti. Grande e tremendo il tuo mistero, o Vergine Madre di Dio, arca venerata della santificazione»53.

Sembra dunque che gli antichi, parlassero senza il minimo pudore del grande mistero della Vergine allattante e del suo "Beatus venter"54, della Madre di Dio, e del suo glorioso ruolo di nutrice.


 

Note al Capitolo


1 G. Gharib, Le icone mariane, storia e culto, Città Nuova Editrice, Roma, 1993, p. 46.     bibliografia

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 Ivi, p. 48.

5 H. Belting, Il culto delle immagini, Storia dell'icona dall'età imperiale al tardo Medioevo, Carocci, …, p. 14.

6 Ibidem.

7 Ivi, p. 15.

8 Ivi, p. 16.

9 Ivi, p. 19.

10 Ivi, p. 22.

11 G. Gharib, op. cit., p. 7.

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 12.

14 Ivi, p. 13.

15 Ivi, p. 15.

16 Ibidem.

17 Ivi, p. 16.

18 Ivi, p. 17.

19 Ivi, p. 24.

20 Ivi, p. 28.

21 Ivi, p. 31.

22 ivi, p. 34.

23 Du Cange, Costantinopolis christiana, t. IV, Venezia, 1729, p.55, cit in G. Gharib, op. cit., pp. 34-35.

24 G. Gharib, op. cit., p. 37.

25 Ibidem.

26 Ibidem.

27 Ivi, p. 40.

28 Ivi, p. 43.

29 Ivi, p. 43.

30 G. Leone, Di alcune immagini della Beata Vergine Maria nell'attuale diocesi di Cassano allo Jonio, Publiepa Edizioni, Paola (CS), 1999, p.21.

31 G. Gharib, op. cit., p. 75.

32 Ivi, p. 76.

33 Ibidem.

34 Ivi, p. 79.

35 Ivi, p. 80.

36 P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, Rusconi, Milano, 1974, pp. 634-638.

37 G. Garib, op. cit., p. 86.

38 Ibidem.

39 Ibidem.

40 Ibidem.

41 Ivi, p. 87.

42 Ivi, p. 88.

43 G. Leone, Sulle iconografie bizantine della Madonna in Calabria, Compilate da G. Cappelli in "Calabria Nobilissima", XL-XLI (1988-1989), edito 1994, p. 48.

44 G. Garib, op. cit, p. 91.

45 Ivi, p. 92.

46 Ibidem.

47 Ivi, p. 93.

48 Ibidem.

49 Ivi, p. 94.

50 Ivi, p. 95.

51 Ibidem.

52 Ivi, p. 97

53 Ibidem.

54 Ibidem.

                                                                                         INDIETRO                        AVANTI