Pietro  l'Eremita

 

                                            

                       Pietro l'Eremita mostra ai crociati la via per Gerusalemme
Illustrazione tratta dal manoscritto pergamenaceo Roman du Chevalier du Cygne (1270 ca)

 

Pietro l'Eremita (Amiens, c. 1050 - Neufmoustier, 1115), detto anche Pietro d'Amiens, fu un prete francese che viene ricordato per essere stato tra i promotori della prima crociata e guida della cosiddetta crociata dei pezzenti.

Nella sua entusiasmante predicazione filo-crociata che spaziò da Bourges a Colonia, l'eloquenza di Pietro (che peraltro era un uomo di scarsa cultura) sollevò l'entusiasmo di migliaia di cristiani (più di 12.000 persone) che - al grido di Deus le volt - si posero in marcia nel maggio 1096. Essi raggiunsero Costantinopoli alla fine

di luglio, raccogliendo lungo la strada altri entusiasti, pur obbligati a subire le dure reazioni della popolazioni balcaniche da essi percorse, che non gradirono gli atti di requisizione forzata di viveri e altre violenze da parte di quei crociati ante-litteram.

Spintosi fino a Nicomedia, Pietro l'Eremita non riuscì a tenere oltre la già scadente disciplina fra le sue fila e, davanti ai primi segni di degrado, tornò nella capitale bizantina per chiedere l'aiuto del basileus, Alessio I Comneno.

Nel frattempo il suo seguito, armato alla bell'e meglio, fu massacrato dai Turchi Selgiuchidi di Rūm sui campi di Civitot (Kibotos) ed

egli dovette aspettare l'arrivo dei nobili crociati, cui si unì in una posizione tuttavia non di eccellenza.

Quando Gerusalemme fu presa il venerdì 15 luglio 1099, Pietro diventò elemosiniere dell'esercito crociato vittorioso.

Il suo sermone sul Monte degli Ulivi fu seguito dal saccheggio della città e dai massacri degli abitanti inermi della Città Santa: altri cattolici,

ebrei e musulmani (che si sarebbero poi vendicati successivamente alla riconquista della città massacrando donne, bambini,

altri musulmani inermi, dissacrando i simboli cristiani, e negli anni a venire anche nelle cosidette "crociate" all'inverso o "mezzelunate",

cioè nei tentativi di colonizzazione, islamizzazione e invasione dell'europa occidentale, distinguendosi per una ferocia senza precedenti).

Tornato nel 1100 a Huy (Belgio), Pietro l'Eremita vi fondò il monastero di Neufmoustier, dove finì i suoi giorni nel 1115.

 

                                         La leggenda di Pietro l'eremita

 
Per quanto la critica di questi ultimi decenni ne abbia molto ridimensionato l’importanza, Pietro d’Amiens resta pur sempre,

tradizionalmente, il “padre” della crociata.
 
Un certo sacerdote di nome Pietro, già eremita, nato in Amiens città dell’occidente nel regno di Francia, cominciò a predicare con tutte le sue forze il pellegrinaggio partendo dal Berry, nel medesimo regno. Dietro le sue continue sollecitazioni, tutti presero lietamente la via indotti dal desiderio di far penitenza: vescovi, abati, chierici, monaci, poi nobilissimi laici, principi di regni diversi , e il popolo tutto, sia puri che impuri, adulteri, omicidi, ladri, spergiuri, predoni; insomma ogni genere di cristiani, donne comprese. Con quali intenzioni e in seguito a quale occasione l’eremita abbia predicato questo pellegrinaggio a l’abbia iniziato egli stesso, lo diremo subito.
Qualche anno prima dell’inizio del viaggio questo sacerdote era andato a Gerusalemme per sua devozione, e nell’oratorio del Sepolcro del Signore aveva visto cose illecite e nefande , che non poteva tollerare: ne fremette di sdegno, e implorò Dio di punire le scelleratezze di cui era stato testimone. Intanto, scandalizzato da questi orrori, interrogò il patriarca di Gerusalemme chiedendogli perché mai si sopportasse che gli infedeli e gli empi profanassero i santuari asportandone le offerte dei fedeli, si servissero delle chiese per farne delle stalle, percuotessero i cristiani, pretendessero a torto del denaro dai santi pellegrini e li angustiassero con ogni sorta di soperchierie.
Il patriarca e venerabile sacerdote del Sepolcro del Signore, udite queste cose, rispose piamente con flebile voce: “O tu, il più fedele dei cristiani, perché tormenti su ciò la paternità nostra, dal momento che le nostre forze non sono da considerare più quelle d’una formica di fronte alla superbia di tanti infedeli? La nostra vita, bisogna riscattarla con tributi continui se non vogliamo esser messi a morte; e così speriamo ogni giorno di giorno in giorno di scampare a più gravi pericoli, a meno che non giungano da parte dei cristiani aiuti, che noi per tuo tramite imploriamo”.
E Pietro gli rispose così: “Padre venerabile, ora ne so abbastanza e vedo bene quanto deboli siano i cristiani che stanno con te e a quante prepotenze da parte degli infedeli soggiaciate. Perciò, per la grazia di Dio, la vostra liberazione e la preservazione di ciò che è sacro da ogni ingiuria io, se io con l’aiuto divino tornerò vivo là donde sono venuto, visiterò prima il papa e poi tutti i principi cristiani  re, duchi, conti e governanti  facendo a tutti presente lo stato miserabile della vostra schiavitù e le vostre intollerabili sofferenze...”
Intanto già calavano le tenebre e Pietro tornò per pregare al Santo Sepolcro dove, stanco per le veglie trascorse in orazione, fu colto da sonno. Gli apparve allora la maestà del Signore Gesù , e si degnò di apostrofare così un uomo mortale e fragile: “Pietro, figlio dilettissimo fra i cristiani! Appena ti sveglierai, tornerai dal mio patriarca e prenderai da lui una lettera credenziale che ti faccia mio ambasciatore, sigillata col sigillo della santa croce. Avutala, ti affretterai quanto più possibile a tornare in patria, dove narrerai le calunnie e le offese recate al mio popolo e ai luoghi santi e inciterai i cuori dei fedeli a purificare il luoghi santi di Gerusalemme e a ripristinare le sacre cerimonie. Infatti, attraverso  pericoli e tentazioni, le porte del paradiso si apriranno ai chiamati e agli eletti”.
Dopo questa mirabile rivelazione divina, la visione scomparve e Pietro si svegliò. Uscì sul far dell’alba dal Tempio, andò dal patriarca, gli narrò ordinatamente la visione e gli chiese una lettera credenziale della divina ambasciata col sigillo della santa croce; questi non gliela ricusò, anzi gliela concesse e lo ringraziò.
Congedatosi, fedele alle istruzioni fece subito volta verso la patria. Dopo un viaggio per mare assai pericoloso, sbarcò a Bari e senza indugio proseguì per Roma. Là incontrò il papa e gli riferì ciò che aveva udito e saputo da Dio e dal patriarca sulle scelleratezze degli infedeli e sulle ingiurie sofferte dalle cose sacre e dai pellegrini.
Fin dai tempi dell'imperatore Costantino i luoghi nei quali Gesù Cristo nacque e visse, erano diventati meta di pellegrini numerosi che, partendo da regioni distanti, giungevano lì per sciogliere un voto o adorare il sepolcro di Cristo. Il pellegrinaggio in Terra Santo era nel Medioevo una pratica pia, spesso imposta dalla Chiesa come espiazione di grandi peccati o raccomandato come impresa di grande valore. Nei secoli sia i Bizantini e sia gli Arabi accettavano benevolmente i pellegrini perché vedevano nel loro afflusso una fonte di guadagno e di sviluppo dei commerci.

Ma a partire dal secolo XI le condizioni politiche cambiarono per l'invasione dei Turchi nell'oriente arabo. Queste popolazioni di stirpe mongola erano ancora culturalmente arretrate. Vivevano nel Turchestan e stendevano le loro propaggini occidentali fino agli Urali e al Caucaso. Venuti a contatto con gli Arabi nei pressi del lago di Aral si erano convertiti all'Islamismo, ed essendo poveri, erano penetrati alla spicciolata in mezzo ai paesi arabi in cerca di fortuna. Fortissimi e coraggiosi erano molto ricercati come guardie del corpo e truppe scelte specialmente dai califfi di Bagdad che portavano molti di loro alla propria corte. Poi avvenne qualcosa di simile a quanto avvenuto ai romani con i mercenari barbari: i Turchi, divennero numerosi nell'esercito e arbitri del destino degli stati arabi nei quali servivano. I loro parenti rimasti nei paesi d'origine, attratti dalla fortuna dei propri consanguinei presso gli arabi, cominciarono ad emigrare in massa verso l'ovest, guidati dalla famiglia di Selgiuk ( da cui il nome di Turchi Selgiuchidi). Attraversarono la Persia, penetrarono nella Mesopotamia e sconvolsero l'antico califfato di Bagdad nel 1055. Da qui procedettero verso il Mediterraneo e conquistarono la Siria e la Palestina, regioni allora sottomesse agli arabi dell'Egitto.

Le avanguardie turche, procedendo poi verso nordovest, sconfisse l'impero d'oriente che manteneva ancora l'Asia Minore e parte dell'Armenia e della Siria. Il momento era molto difficile per i Bizantini: Bulgari e Serbi occupavano le regioni migliori della penisola balcanica; i Normanni facevano continue incursioni sulle coste dell'Epiro; dall'Armenia e dalla Siria veniva un'alluvione di fuggitivi di fronte all'invasione turca, spogliati d'ogni bene e sconvolti dal terrore. D'altra parte non era possibile attendersi aiuti dall'Occidente perché proprio in quegli anni imperversavano le controversie dogmatiche che si erano risolte nello scisma definitivo della chiesa greca dalla chiesa latina.

La freddezza delle relazioni fra il papa e l'imperatore d'Oriente aveva impedito che le invocazioni d'aiuto, giunte a Roma da Costantinopoli, potessero trovare una solle­cita accoglienza presso ì pontefici, ì quali sì trovavano proprio allora nel periodo più acuto della lotta delle investiture. Contro gl'invasori marciò allora, con le sole sue forze, l'imperatore Romano IV Diogene, ma nella battaglia di Manzikert (1071) fu sconfitto e fatto prigioniero. Tutta l'Asia Minore, la Siria settentrionale e l'Armenia caddero allora in mano dei Turchi : rimasero nelle mani dei Bizantini solamente alcune zone costiere, difese dalla flotta greca.

  

  2. La prima Crociata (1096-1099)

 

 Pietro l'Eremita.

Gravi lamentele giunsero in Europa coi pellegrini sfuggiti alle angherie dei Turchi, e suscitarono una rea­zione fra i popoli, ai quali pareva indegno che i Luoghi Santi dovessero essere in possesso dei nemici della religione cristiana. L'idea quindi di una spedizione liberatrice cominciò a farsi strada fra i popoli dell'Occidente per la vivace parola di un noto predicatore, Pietro d'Amiens, detto l'Eremita, che, reduce di laggiù, dipingeva a tetri colori le vio­lenze degl'infedeli, eccitando bellicosi entusiasmi. I papi, i quali già da anni vagheggiavano una simile impresa, non rimasero indifferenti di fronte ad una propaganda, che poteva recare un vantaggio notevole alla cristianità con l'acquisto della Terra Santa. Infatti in una grande adunata di signori italiani a Piacenza e in un concilio a Clermont papa Urbano II parlò così efficacemente in favore della Crociata, che feu­datari e uomini del popolo, al grido di (( Dio lo vuole! )), giurarono di partire per, la Terra Santa, e fregiandosi il petto con la croce si di­chiararono Crociati, pronti a dare la vita per la liberazione del sepolcro di Cristo (1095).

Un'ondata di entusiasmo religioso pervase i popoli di Francia, Italia, Inghilterra : era un accorrere da ogni parte di feudatari, ca­valieri, artigiani, contadini, i- quali altro non chiedevano che di par­tire, altro non volevano che combattere contro gl'infedeli. Divenne ben presto impossibile arrestare i più impazienti : guerrieri, monaci, popolani, donne, bambini, sotto la guida di Pietro l'Eremita e di un oscuro cavaliere, Gualtieri Senzaveri, si avviarono attraverso l'Europa centrale e la Balcania, saccheggiando ogni cosa per provvedersi di vi-veri, finche, decimati dagli Ungheri e dai Bulgari, accolti con diffi­denza dai Bizantini, furono quasi del tutto massacrati dai Turchi nell'Asia Minore. Era la follia!

 La prima Crociata e la conquista di Gerusalemme (1096-1099).

Ben più seria preparazione ebbe la vera Crociata, composta in gran parte di feudatari, valvassori e cavalieri, gente abitua­ta alla guerra, provvista di viveri e sussidiata dal papa e da tutta la cristianità: vi erano Goffredo di Buglione, conte della bassa Lorena, col fratello Baldovino; Raimondo, conte di, Tolosa, Ugo di Vermandois, fratello del re di Francia, Roberto di Normandia, figlio del re d'Inghilterra, i normanni Boemondo di Taranto, figlio di Roberto il Guiscardo, e il nipote Tancredi, il vescovo Ademaro di Puy, legato ponti­ficio, e molti altri Francesi, Inglesi, Normanni, Italiani; pochi i Tedeschi, poiché l'Impero si trovava allora in piena lotta col Papato. Mancando quindi il capo naturale, l'imperatore, la spedizione non ebbe quel coordinamento di forze e di intenti che sarebbe stato così neces­sario : ciascuno dei grandi feudatari agiva da se, conduceva seco i suoi e secondava gli altri solo quando gli pareva conveniente. I Crociati, per vie diverse, chi per terra, chi per mare, si concentrarono a Costantinopoli, e di là passarono in Asia Minore; quanti fossero non si sa : probabilmente poche decine di migliaia tra fanti e cavalieri.

Per quanto l'imperatore d'Oriente Alessio I Comneno (1081-1118) avesse invocato l'aiuto dell'Occidente e si fosse messo in rapporti con lo stesso pontefice Urbano II, la Crociata non ebbe affatto l'aspetto di un'impresa militare in aiuto dei Bizantini. I Crociati, che partivano al grido di — Dio lo vuole! —, sapevano solamente di rappresentare i diritti della cristianità contro gl'infedeli, e se erano risoluti a conqui­stare la Terra Santa, non pensavano certo di doverla poi restituire all'imperatore d'Oriente, che, secoli addietro, non aveva saputo difenderla dall'invasione musulmana. Perciò i Bizantini videro con una certa diffidenza queste turbe di Franchi (così chiamavano i Crociati) rovesciarsi sulla Tracia per pas­sare il Bosforo e conquistare terre, che un tempo erano state soggette a Bisanzio e sulle quali l'Impero intendeva di far valere i propri diritti nel caso di una riconquista. L'imperatore Alessio Comneno, conce­dendo le navi per il passaggio, pretese dai Franchi il giuramento di vassallaggio, alla maniera d'Occidente, per tutte le conquiste  future. Tra Bizantini e Crociati nacque allora una rivalità, che per poco non scoppiò poi in una guerra quando, presa dopo lungo assedio Nicea (1097), i Crociati si videro dai Greci interdetta l'entrata nella città, su cui i legati imperiali avevano fatto innalzare le insegne di Bisanzio.

Calmate con doni le proteste, l'imperatore Alessio lasciò 'ormai che i Crociati riprendessero da soli l'avanzata. Questi infatti, adden­tratisi nel Sultanato d'Iconio, a Dorilea sconfissero i Turchi in bat­taglia campale, traversarono il Tauro ed entrarono nella Siria, mentre Baldovino, fratello di Goffredo, staccatosi dal grosso dell'esercito, espugnava la lontana città di Edessa, facendone una contea per se. Antiochia, presa dai Crociati, divenne un principato di Boemondo di Taranto, mentre Raimondo di Tolosa, avviatosi a conquistare la zona costiera, poneva le basi della futura contea di Tripoli di Soria. Mal-grado le opposizioni dei Bizantini, che non potevano rassegnarsi all'idea di lasciare nelle mani dei Franchi città così importanti e spe­cialmente Antiochia, i Crociati, ridotti ormai di numero, proseguirono la marcia verso Gerusalemme. La città, assediata per parecchi mesi, nel luglio del 1099, dopo un furioso assalto, cadde nelle mani dei Cro­ciati. Goffredo di Buglione, a cui fu offerto il titolo di re di Gerusalemme, volle per modestia esser chiamato solamente difensore del Santo Sepolcro, e tale egli rimase fino alla sua morte avvenuta nel 1100, mentre i suoi successori ebbero

il titolo di re.

 

 Gli Stati Crociati: i Templari e i Cavalieri di S. Giovanni.

La prima Crociata si concludeva così con la formazione di diversi Stati Crociati, di cui i più importanti erano il Regno di Gerusalemme, il Principato di Antiochia, la Contea di Tripoli, la Contea di Edessa; essi furono subito ordinati secondo il sistema feudale, come appare dalle « Assise di Gerusalemme », il vecchio codice delle leggi crociate. Fu questo il maggior tentativo fatto dagli occiden­tali per trapiantare in Oriente i loro metodi di vita politica e sociale; esso però riuscì solamente a scavare un abisso sempre più profondo fra i conquistatori, baroni e cavalieri nella maggior parte, e le popolazioni conquistate, incapaci di comprendere e di vivere la vita feudale dell'Occidente. Perciò i Crociati rimasero piuttosto accampati che sta­biliti nella Terra Santa.

Questi Stati ebbero dunque una vita effimera, tanto più che per-dettero assai presto i loro difensori, perché in gran parte i Crociati, a impresa finita, se ne tornarono a casa. Per difendere Gerusalemme con milizie stabili, si pensò allora alla creazione degli Ordini cavalle­reschi, specie di Ordini religiosi, in cui i monaci-cavalieri, oltre ai voti monastici di castità, povertà e ubbidienza, ne giuravano un quarto, quello cioè di difendere i Luoghi Santi contro gl'infedeli. Sorsero così i Cavalieri di S. Giovanni (detti anche Ospitalieri), i Teutonici e i Templari : essi fondarono i loro monasteri-caserme a Gerusalemme e nei principali centri degli Stati Crociati, ebbero un rigido ordinamento sotto le dipendenze del Gran Maestro che li reggeva come abate e come capo militare, possedettero molti beni, costruirono ospizi per i pelle­grini, e si prodigarono generosamente nelle lotte contro i Turchi. Ma i nuovi difensori, per quanto valorosi, erano troppo pochi, e non pote­rono impedire che gli Stati cristiani della Palestina vivessero in ansia continua di fronte ad un nemico, che era solamente respinto, ma non distrutto.

 

    3. Le repubbliche marinare italiane e i mercati del Levante.

Le repubbliche marinare italiane videro subito nelle Crociate una occasione bellissima per sviluppare il loro commercio nel Levante, e per tentare di prendersi il monopolio delle ricche spezierie. Manda­rono adunque navi e uomini; cercarono però di trarre dalle Crociate i più larghi vantaggi, vendendo a caro prezzo il loro aiuto.

 Genova.

All'appello di papa Urbano II i Genovesi armarono dodici navi, con le quali portarono aiuto a Boemondo di Taranto nella conquista di Antiochia, ottenendone in compenso un trattato assai favorevole, per il quale essi ricevettero in possesso trenta case, una chiesa e una fonte nel cuore della città, con pieno diritto di trafficare sotto la protezione del principe e con l'esenzione assoluta da tutte le tasse, sia in Antiochia che nel suo territorio (1o98). Qualche anno dopo si procurarono analoghi privilegi nel Regno di Gerusalemme, ed ebbero colonie a Giaffa, a San Giovanni d'Acri e nella stessa capitale.

 Pisa.

I Pisani si mossero un po' più tardi, quando seppero che i Crociati assediavano Gerusalemme, e sebbene con le loro 120 navi arrivassero a impresa compiuta, poterono largamente fruire della vittoria, ottenendo che il loro vescovo Daiberto divenisse pa­triarca di Gerusalemme e avesse in feudo un quartiere nel porto di Giaffa; più tardi cercarono di stabilirsi anch'essi ad Antiochia, a Tripoli, a Laodicea, ottenendo privilegi ed esenzioni.

 Venezia.

I Veneziani erano troppo interessati nel com­mercio col Levante per non seguire subito l'esempio delle altre repub­bliche marinare italiane. Nel 1100 con 200 navi vennero nelle acque della Palestina, carpirono laute concessioni, si stanziarono ad Antiochia, Ascalona, Gerusalemme, Acri; più tardi presero Tiro, e ottennero il privilegio di poter fondare una loro colonia in ciascuna delle città, che i Crociati avessero eventualmente conquistate.

 

 Le colonie italiane e il commercio col Levante.

Que­ste colonie veneziane, genovesi e pisane che si vennero formando in Levante dopo le Crociate, non avevano lo scopo di sfollare la madre-patria, né di popolare regioni disabitate, né di difendere territori di conquista; esse erano semplici basi per il commercio, e si compone-vano generalmente, non di una intera città, ma di un solo quartiere, racchiudendo alcune case, un fondaco per le merci, un luogo di raduno, una chiesa, un mulino, una fonte, un bagno, qualche volta alcuni ap­pezzamenti di terreno coltivabile fuori della città, e, se si trattava di un centro di mare, qualche banchina o edificio al porto. E lì, entro la breve cerchia di questa concessione, si parlava il dialetto della madre-patria, si viveva nelle tradizioni dello Stato di origine, si trafficava coi metodi italiani, mentre col prosperare della colonia aumentavano le fa­miglie residenti, e si sentiva il bisogno di un magistrato locale, detto balivo, più spesso console, che, mandato dalla madrepatria, rappre­sentava di fronte al governo locale i coloni e ne tutelava i privilegi. Ap­pena fondata e ordinata, la colonia cominciava a funzionare, attraendo a sé i prodotti dell'Oriente, quelli stessi cioè che avevano fatta la ric­chezza dei Fenici, dei Greci, dei Bizantini e degli Arabi. I profumi, come il muschio, la canfora, l'incenso; le spezie, come il pepe, la noce moscata, il garofano; le sete della Cina e del Giappone, le pietre preziose, le materie coloranti, le pelli, gli avori dell'India si ammassavano nei fondachi italiani, donde le navi portavano tutto in Europa.

Naturalmente tale traffico con l'andar del tempo non potè limitarsi ai soli porti cristiani, da Alessandretta a Giaffa: troppo connessi erano questi centri con quelli importantissimi dell'Egitto e degli altri paesi arabo-turchi, ai quali affluivano pure i prodotti dell'Oriente. I mercanti italiani, veneziani soprattutto, iniziarono un buon giro d'affari coi Turchi, impiantandosi ad Alessandria, che era sempre un gran porto per il commercio d'Oriente; di lì passarono al Cairo, a Damietta e nei centri più vitali, dove a poco a poco, tra l'alternarsi delle vicende liete e tristi della politica, riuscirono ad ottenere fondachi, quartieri e privilegi sul tipo di quelli che avevano avuto in Siria e in Palestina.

 

 

       4. La seconda Crociata (1147-1149) ;

           la caduta di Gerusalemme (1187) ;

          la terza Crociata (1189-1192).

 

 Debolezza degli Stati Crociati. — Alla morte di Goffredo di Buglione (1100 era stato eletto re di Gerusalemme suo fratello Baldovino I, già conte di Edessa, il quale può dirsi il vero fondatore e ordinatore del regno. Tuttavia né Baldovino I né i suoi successori poterono mai conquistare un vasto territorio e sottomettere Damasco, che era il più grande centro della Siria e dominava le vie per la Mesopotamia e l'Egitto: il Regno di Gerusalemme rimase sempre piccolo, debole; lo stesso dicasi degli altri Stati, continuamente trepidanti sotto la minaccia di un ritorno offensivo dei Turchi. Dalla Terra Santa giungevano perciò in Occidente continue invocazioni di aiuto. Rispose quasi sempre il Papato, il quale però non riuscì mai a collegare tutti i principi cristiani in uno sforzo grandioso, che assicurasse definitiva-mente alla cristianità la preziosa conquista. Le altre sette Crociate, che dopo la prima furono bandite dai papi, si risolvettero spesso in disastri.

 

 La seconda Crociata (1147-1149).

Nel 1144 il sultano di Mossul s'impadronì di Edessa, abbattendo così il più forte baluardo degli Stati cristiani nella Siria. Un appello disperato giunse allora in Europa da Gerusalemme; lo raccolse il grande monaco Bernardo di Chiaravalle, il quale indusse Luigi VII, re di Francia, e l'imperatore Corrado III a prendere la croce. Partirono prima i Tedeschi nel 1147, ma furono quasi tutti massacrati e dispersi nell'Asia Minore; né sorte più lieta ebbero i Francesi, sconfitti alle porte della Siria; i due sovrani tentarono con le forze superstiti di attaccare Damasco, ma non riusci­rono; onde, stanchi dei disagi e logorati dalle discordie, abbandonarono l'impresa. Questa fu la seconda Crociata.

Intanto, di fronte al nemico, gli Stati Crociati, lungi dal fondersi e dal rafforzarsi, venivano indebolendosi con le contese dinastiche, cosicché il sultano d'Egitto, Saladino, nel 1187, sconfitti i cristiani, poté riconquistare Gerusalemme. Il re Guido di Lusignano, il Gran Maestro dei Templari e moltissimi cavalieri del regno caddero nelle mani del barbaro vincitore.

 

 La terza Crociata (1189-1192).

La caduta della città santa produsse in Europa enorme impressione, onde i papi riuscirono ad organizzare la terza Crociata, a cui presero parte l'imperatore Federico Barbarossa, il re di Francia Filippo Augusto e il sovrano d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Dal tempo della prima Crociata mai tanto entusiasmo religioso era corso per l'Europa, né così grande esercito era passato in Oriente. Vinte le opposizioni e le insidie dei Greci, l'im­peratore passò in Asia, prese Iconio, varcò il Tauro e già stava alle porte della Siria, quando improvvisamente annegava nel fiume Salef in Cilicia (1190). L'esercito suo allora, parte si sbandò, parte si congiunse coi re di Francia e d'Inghilterra, che stavano all'assedio di San Giovanni d'Acri : la città, bloccata dalle flotte dei Genovesi e dei Pisani, fu presa; ma, essendo sorte tra i Crociati insanabili discordie, i Francesi e i Tedeschi abbandonarono l'impresa, lasciando solo Ric­cardo Cuor di Leone. Questi fece prodigi di valore, ma non poté con­quistare Gerusalemme e firmò una tregua coi Turchi. Guido di Lusignano, che aveva potuto sfuggire alla prigionia di Saladino, ebbe da Riccardo il possesso dell'isola di Cipro, da lui sottratta ai Greci. Così Guido si disse re di Cipro e di Gerusalemme.

 

 

          5. La quarta Crociata (1202-1204) :

              la conquista di Costantinopoli (1204) ;

              le ultime Crociate.

 

 La quarta Crociata (1202-1204): l'Impero Latino d'Oriente.

Se i vantaggi politici e religiosi delle tre prime Crociate furono assai scarsi, enormi invece divennero. i guadagni delle repub­bliche marinare italiane, le quali seppero trasformare quelle imprese in una vera e propria occupazione commerciale del Levante. È natu­rale quindi che all'avido sguardo dei mercanti genovesi, pisani e vene­ziani anche l'Impero Bizantino si presentasse come un territorio di

sempre maggior valore economico, poiché, posto così fra l'Occidente e l'Oriente, quello Stato era il ponte di passaggio fra l'Italia e le regioni asiatiche. I Veneziani da. molto tempo cercavano di impadro­nirsi dell'Impero; mancando però di truppe sufficienti, forse non sa­rebbero riusciti nell'impresa, se l'astuto loro doge, Enrico Dandolo, non avesse saputo sfruttare, a tutto vantaggio di Venezia, la quarta Crociata, che il pontefice Innocenzo III aveva bandita fino dal 1198.

Nel 1202 molti cavalieri crociati, fra i quali primeggiavano Baldovino, conte di Fiandra, Tebaldo, conte della Champagne e Bonifacio, marchese del Monferrato, erano venuti coi loro soldati a Venezia per passare in Oriente; ma non avendo il danaro sufficiente per pa­gare il viaggio, accolsero l'invito del doge Enrico Dandolo, il quale propose loro di aiutare l'esercito veneziano all'assedio di Zara, che si era ribellata. Il papa si oppose, ma i Crociati andarono ugualmente a Zara e l'espugnarono. Mentre erano all'assedio, ecco apparire il principe Alessio, figlio dell'imperatore di Costantinopoli Isacco l'Angelo, con la notizia che il proprio padre era stato deposto dal trono, e con la preghiera di cooperare alla restaurazione del regno : egli prometteva, in caso di vittoria, navi e danari per la Crociata e s'impegnava di promuovere anche l'unione della Chiesa greca con la latina. I Crociati e i Veneziani, sbrigatisi di Zara, andarono a Costantinopoli e con la forza rimisero sul trono Isacco. Ma essendo scoppiata una rivoluzione popolare contro di essi, presero d'assalto la città, la saccheggiarono orrendamente, rovesciarono l'Impero Greco e inaugurarono l'Impero Latino d'Oriente, il cui primo sovrano fu Baldovino di Fiandra (1204). Nella distribuzione delle prede territoriali, mentre i Crociati, dimentichi ormai di Gerusalemme e dei loro voti, dividevano il paese in tanti piccoli feudi, Venezia occupò i punti commercialmente più importanti, raccogliendo nelle sue mani tutti i traffici dell'Impero paralizzando l'opera dei Genovesi e dei Pisani. In quaranta anni tutte le isole greche dell'Egeo e dello Ionio divennero veneziane, da Corfù e da Tenedo, fino a Candia, mentre nei principali porti la repubblica apriva fondachi e colonie, e in tutti i paesi dell'Impero otteneva franchigia assoluta per le merci veneziane. E allora il doge prendeva i pomposo titolo di signore di una quarta parte dell'Impero di Romania.

L'Impero Latino d'Oriente durò meno di sessanta anni (1204 1261), ma la potenza commerciale di Venezia toccò allora l'apogeo destando le gelosie della rivale Genova.

 Le ultime Crociate.

Innocenzo III, deluso del risultato della quarta Crociata, sùbito si adoperò a prepararne un'altra; non riuscì però a vederla, essendo morto nel 1216. La quinta Crociata (1218-1221) Si diresse verso l'Egitto, considerato ormai da molti come il più facile ponte di passaggio verso la Palestina; occupò per qualche tempo Damietta, alle foci del Nilo, ma poi si disperse, essendo venuto meno alle sue promesse l'imperatore Federico II di Svevia, che avrebbe dovuto dirigerla. Questa partì qualche anno dopo (1228), mentre era in pieno disaccordo col papa, e nel 1229 ottenne con un trattato dal sultano d'Egitto la restituzione di Gerusalemme e di alcune altre città. Benché scomunicato, Federico II si fece incoronare « re di Gerusalemme » nella chiesa del Santo Sepolcro (sesta Crociata); ma ritornò subito in Italia per difendere i suoi Stati dal papa. Il nuovo Regno di Gerusalemme, così costituito, ebbe una durata effimera.

La settima (1248) e l'ottava Crociata (1270) ebbero come animatore il piissimo re di Francia, Luigi IX. Egli nel 1248 sbarcò in Egitto, conquistò Damietta, ma, fatto prigioniero e riscattato con una forte somma, ritornò in Francia (settima Crociata). Molti anni dopo, il pio re volle ritentare l'impresa; per compiacere il fratello Carlo d'Angiò, re di Napoli, sbarcò a Tunisi, ma là morì di pestilenza (1270). Gli altri Crociati che erano andati con lui si dispersero, onde anche questa volta i risultati furono nulli (ottava Crociata).

Intanto una dopo l'altra cadevano le poche città che in Palestina erano ancora in possesso dei cristiani; Cesarea, Giaffa, Antiochia, Tripoli furono prese dai Turchi : ultima fu Tolemaide (San Giovanni d'Acri), espugnata nel 1291. Gli Ordini religiosi cavallereschi perdet­tero allora lo scopo per cui erano stati istituiti; i Templari passarono in Europa e furono soppressi nel secolo XIV; i Teutonici si trasferirono in Germania, dove combatterono contro gli Slavi; solo i Cavalieri di S. Giovanni restarono a Cipro, donde passarono a Rodi, la bella isola nostra, in cui hanno lasciato tanti ricordi del loro dominio e della loro mirabile ostinazione nella difesa della cristianità contro i Turchi. I Cavalieri di Rodi si raccolsero più tardi a Malta e vi rimasero fino al 1799; il loro Ordine esiste anche oggi e porta ìl nome di Sovrano Ordine Militare di Malta : il loro Gran Maestro risiede a Roma.

 

 

     6. Conseguenze sociali, economiche e culturali delle Crociate.

Come impresa militare le Crociate furono dunque un fallimento e non lasciarono grande traccia nella storia politica dell'Europa e dell'Oriente; ebbero invece un'influenza vasta e duratura nella vita sociale, economica ed intellettuale del mondo latino-germanico e specialmente d'Italia.

 Nel Sociale

Sarebbe un errore il considerare le Crociate come un fatto esclusivamente religioso sotto la parvenza religiosa esse nascondono un fenomeno sociale, la rivolta al feudalesimo. Si pensi entro quale cerchio di ferro il feudalesimo aveva chiuso la vita: le popolazioni, asservite alla terra, erano divenute stazionarie, vivendo per intere generazioni sempre nello stesso paese, nello stesso fondo, nella stessa casa, senza muoversi mai, onde avevano finito per identificare la patria col loro castello, il mondo col loro misero feudo. I pochi che erano riusciti a fare un viaggio fino a Roma, o avevano pellegrinato fino al santuario di S. Giacomo di Compostela in Spagna o al Santo Sepolcro di Gerusalemme, erano ritenuti come uomini di eccezione, consultati come gente che venisse dal mondo dell'ignoto. E la mentalità paesana era divenuta piccina come il feudo; ogni iniziativa si fiaccava contro difficoltà insormontabili; la vita stagnava. Quand'ecco giungere alle popolazioni, sotto l'aspetto di un appello religioso, l'invito di rompere i confini feudali, di passare di feudo in feudo, di nazione in nazione, fino al misterioso Oriente, ricco di favolose promesse. Il fascino dell'ignoto, il desiderio di avventure, la speranza di una improvvisa ricchezza si uniscono all'entusiasmo religioso, e seducono molti, i giovani specialmente, che si lanciano all'impresa con la ingenuità di fanciulli; i primi partenti vanno senza meta, cantando inni sacri, come invasati dall'ebbrezza di una libertà nuova, chiedendo ad ogni svolto di strada se Gerusalemme e in vista. Il cerchio di ferro feudale si rompe sotto l'impeto dei partenti e con esso s'infrange il mondo feudale; dei Crociati alcuno non ritornerà più, avendo trovato altrove una vita di più largo respiro; altri ritornerà, ma mutato interamente, con l'idea di un mondo più vasto, con l'aspirazione ad una vita più intensa e più libera, e ai rimasti narrerà i suoi viaggi, dirà le sue idee: quanto mondo, quanta vita al di là del breve orizzonte che si vede dalla torre del castello feudale.

Viste così, come ribellione al sistema feudale, le Crociate debbono certamente ritenersi uno dei più decisivi elementi distruttivi di esso, e nello stesso tempo una delle maggiori forze destinate a dar vita alla economia dei tempi nuovi. Dalle Crociate infatti non trasse alcun vantaggio la nobiltà feudale, che si trastullò ad impiantare laggiù degli effimeri Stati con l'idea di perpetuare gli errori economici e politici di un sistema, ormai non più rispondente ai tempi. Chi profittò delle Crociate fu invece la borghesia, proprio quella che fino a ieri era stata oppressa e tenuta sottomessa dal ferreo regime feudale, ed ora si arricchiva senza scrupoli e ostentava di fronte ai signori e ai cavalieri la prosaica ma florida opulenza dei mercanti.

 

In Economia.

Le Crociate ebbero una importantissima conseguenza economica: emanciparono l'Europa dal monopolio mercantile dei Bizantini e degli Arabi. Questa emancipazione avvenne però solo per merito delle nostre repubbliche marinare, le quali seppero conquistare i mercati del Levante. L'Italia divenne allora il paese più ricco del mondo, l'arbitro fra l'Occidente e l'Oriente, il dominatore dei più grandi traffici mondiali, che si svolgevano ancora nel bacino del Mediterraneo.

 

Nella Cultura

 La frequenza dei viaggi rendeva ai mercanti italiani molto più facili i contatti con popoli, una volta tanto lontani. Il mare ritornava ad essere, come ai tempi dell'Impero Romano, la grande via su cui s'incontravano le civiltà delle diverse genti. E l'Europa guadagnò molto dai luoghi, dove da secoli fiorivano due grandi civiltà, la bizantina e l'araba, ambedue di tanto superiori a quella del gramo Occidente. Là dove passava il mercante, andò presto l'erudito; nelle stesse navi, che portavano in Europa le spezierie d'Oriente, vennero a noi i codici della letteratura greca, le versioni arabe di Tolomeo e di Aristotele; negli stessi mercati, in cui si trattavano gli affari, si accendevano le dispute religiose, le controversie filosofiche. La lingua greca e l'araba trovarono cultori  nell'Occidente; il pensiero orientale apparve a poco a poco in una luce nuova di seduzione; con l'allargarsi dell'orizzonte geografico e commerciale si aperse anche un più vasto orizzonte culturale.

 

E dalle Crociate incominciò quel generale risveglio della cultura, che in pochi secoli portò l'Italia all'apice della civiltà mondiale, dove e quando il nostro Rinascimento ha tratto le sue origini.

 

 

 

                                                                                                                                     TEMPLARI